L’ enciclica Deus caritas est rappresenta un documento sorprendente sotto molti aspetti. Da un dottore della Chiesa salito alla Cathedra ci si attendeva una prima enciclica di orientamento dottrinario e dogmatico, mentre abbiamo di fronte agli occhi un documento che si distribuisce in una sezione dottrinaria e in una pastorale; dal teologo che più apertamente aveva difeso l’identità della dottrina etica del cattolicesimo ci si aspettava un testo di battaglia antisecolare, mentre leggiamo un’argomentazione razionale dialogante in cui si prendono in esame le ragioni dello spirito e quelle della materia. Anzi, l’unità (nella distinzione) di spirituale e materiale costituisce l’oggetto principale di questo scritto, che quindi può distendersi nella seconda parte in un’ampia sezione dispositiva in cui vengono impartite istruzioni precise circa il modo in cui la Chiesa può e deve affrontare le questioni sociali. Un ultimo fatto sorprendente: nel contesto dell’interesse per i fattori materiali troviamo un omaggio, che ci sembra molto significativo sia nella portata sia nella profondità, al pensiero di Karl Marx e Friedrich Engels.
Procediamo con ordine. Il testo segue con rigore la partizione scolastica. Per il nucleo, incorniciato da un proemium e da una conclusio, le norme tradizionali dell’inventio prevedono due possibili strutture: quella bipartita e quella tripartita. Qui è scelta la bipartizione (tradizionalmente praemissa + rationes), con una prima sezione che è insieme argomentativa e narrativa, e una seconda prevalentemente dispositiva. La praemissa procede da una distinzione iniziale (linguistica e concettuale) dell’amore, verso una progressiva riunificazione, che si opera sia razionalmente attraverso sintesi successive, sia mediante la narrazione del percorso biblico che culmina nell’incarnazione, cioè alla completa sintesi delle valenze spirituali e materiali dell’amore, di anima e corpo. L’argomentazione è chiusa da una completio, ovvero una sentenza, in genere contenente una citazione, che riassume e sintetizza l’intero movimento di pensiero (nelle parole di Cicerone: per quam, id, quod conficitur ex omni argumentatione breviter exponitur). Possiamo riportare tale punto di arrivo del percorso di unificazione: «L’amore è “divino” perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor 15, 28)».
La seconda parte compie un movimento inverso, dall’unità alla molteplicità attraverso determinazioni successive: l’elemento materiale è qui costituito non dal corpo individuale, ma dalla società umana all’interno della quale vive la Chiesa. Il testo si volge ora ripetutamente verso Marx, al quale viene riservato però un trattamento diverso rispetto al Nietzcshe esaminato in precedenza. Se infatti il pensiero di questo viene esposto per essere confutato, verso il marxismo è praticata una distinzione; si dice nel § 26: «[i]n questa argomentazione, bisogna riconoscerlo, c’è del vero, ma anche non poco di errato». Come vedremo meglio, del marxismo viene valorizzato l’elemento scientifico ma rifiutato quello politico.
Cominciamo dall’ultimo punto: si contestano a Marx due conclusioni. Innanzi tutto la sua aspettativa rivoluzionaria, che è stata ripetutamente analizzata dal pensiero cattolico come forma di eresia del cristianesimo, per cui (in modo simile a quanto avveniva nel pensiero gnostico) si attende la realizzazione di una nuova era sulla terra. «Il marxismo aveva indicato nella rivoluzione mondiale e nella sua preparazione la panacea per la problematica sociale: attraverso la rivoluzione e la conseguente collettivizzazione dei mezzi di produzione — si asseriva in tale dottrina — doveva improvvisamente andare tutto in modo diverso e migliore. Questo sogno è svanito» (§ 27). Il secondo punto è più sottile: siamo nel § 31, nel pieno dell’esame delle forme concrete della carità, e si osserva: «Parte della strategia marxista è la teoria dell’impoverimento: chi in una situazione di potere ingiusto — essa sostiene — aiuta l’uomo con iniziative di carità, si pone di fatto a servizio di quel sistema di ingiustizia, facendolo apparire, almeno fino a un certo punto, sopportabile. Viene così frenato il potenziale rivoluzionario e quindi bloccato il rivolgimento verso un mondo migliore. Perciò la carità viene contestata ed attaccata come sistema di conservazione dello status quo. In realtà, questa è una filosofia disumana». L’argomento è ineccepibile, ma, come anche il precedente, non si rivolge evidentemente verso i movimenti socialisti europei che hanno abbandonato la prospettiva rivoluzionaria.
Ma in che cosa invece, per Benedetto XVI, «c’è del vero» nell’argomentazione di Marx? Dicevamo che la seconda sezione dell’enciclica muove dall’unità alla molteplicità. Tale unità, su cui si era chiusa la prima sezione, è rappresentata storicamente dalla Chiesa delle origini che è insieme, si dice nel § 20, comunità di umano e divino, di spirituale e materiale, ma anche comunità di uomini uguali. «L’elemento della “comunione” (koinonia), qui inizialmente non specificato, viene concretizzato nei versetti sopra citati: essa consiste appunto nel fatto che i credenti hanno tutto in comune e che, in mezzo a loro, la differenza tra ricchi e poveri non sussiste più (cfr anche At 4, 32-37)». Tale comunismo (in greco koinonia) iniziale si scinde successivamente per effetto delle differenze presenti nella società stessa, per cui non solo la Chiesa presenta al suo interno comunità diverse (che per esempio leggono l’Antico Testamento nel testo ebraico-aramaico o nella traduzione greca dei Settanta) ma deve anche suddividersi prevedendo funzioni particolari (la diaconia) per l’esercizio della carità. Nella storia si ha quindi un processo di progressiva moltiplicazioni di queste diversificazione embrionali che giunge fino nell’età contemporanea. Vale la pena riportare per intero il brano culminante di questo ragionamento, e di offrirne poi una breve analisi:
«Il sorgere dell’industria moderna ha dissolto le vecchie strutture sociali e con la massa dei salariati ha provocato un cambiamento radicale nella composizione della società, all’interno della quale il rapporto tra capitale e lavoro è diventato la questione decisiva — una questione che sotto tale forma era prima sconosciuta. Le strutture di produzione e il capitale erano ormai il nuovo potere che, posto nelle mani di pochi, comportava per le masse lavoratrici una privazione di diritti contro la quale bisognava ribellarsi» (fine § 26).
«È doveroso ammettere che i rappresentanti della Chiesa hanno percepito solo lentamente che il problema della giusta struttura della società si poneva in modo nuovo» (inizio § 27).
Il passo è, dicevamo in apertura, sorprendente sia per ciò che dice, sia per come lo dice. Si affermano in particolare quattro cose: (a) l’industria moderna ha provocato un cambiamento radicale nella composizione della società (in tedesco Gesellschaftsstrukturen, “strutture della società”, come Marx, al singolare però, nel secondo libro del Capitale), e quindi è l’economia a determinare in ultima istanza le strutture fondamentali della società; (b) la questione decisiva della società contemporanea è data dalla relazione tra capitale e lavoro: non si ricorre al termine contraddizione (Widerspruch), ma la formulazione presente nel testo tedesco (das Verhältnis von Kapital und Arbeit) è comunque ricorrente sia in Marx, sia soprattutto in Engels (per esempio nelle recensioni al primo libro del Capitale, e nella Questione delle abitazioni); (c) necessità per le masse lavoratrici (arbeitenden Massen, come ad esempio Marx nell’Indirizzo inaugurale all’Associazione internazionale dei lavoratori) di una ribellione contro la privazione dei diritti: non si dice cioè che la storia è mossa dal conflitto delle classi, ma comunque che la ribellione delle masse lavoratrici (rappresentanti un polo fondamentale della relazione capitale-lavoro) è provocata dallo stato delle cose materiali; (d) ritardo della Chiesa a comprendere questa situazione.
Subito dopo Benedetto XVI (ancora nel § 27) afferma che solo a far tempo dalla Rerum novarum è cominciato nella Chiesa un movimento di piena consapevolezza terminato nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa (del 2004), con cui finalmente la comunità ecclesiale si è dotata di una dottrina in grado di porsi in modo più efficace, rispetto al pensiero rivoluzionario, di fronte alle urgenze materiali delle società contemporanee.
Ci si può chiedere a questo punto perché il Papa abbia voluto offrire in apertura del suo pontificato un omaggio così dettagliato e generoso al marxismo. E’ solo l’onore delle armi al comunismo sconfitto in Europa? Crediamo di no: l’occhio di Benedetto XVI sta probabilmente guardando altrove, in particolare all’America latina e all’Africa. Avverte insomma il rischio per la Chiesa di apparire come la comunità religiosa di un mondo privilegiato e sordo di fronte al crescere della disuguaglianza sociale. Non solo: avverte il rischio che nelle stesse aree svantaggiate del pianeta i cattolici possano giungere a coincidere con la parte più ingiusta della società. Al contempo ammonisce sull’effetto planetario disgregativo provocato dai processi di accumulazione di capitale da un lato, e di privazione dei diritti delle grandi masse dall’altro. In una situazione in cui in ogni caso cresce la consapevolezza della disuguaglianza per effetto dell’informazione globale (registriamo per curiosità la forma latina globalizatio).
Di qui prende le mosse la parte normativa dell’enciclica in cui si dice che l’azione caritatevole è un compito a cui la Chiesa stessa è chiamata con le sue strutture fondamentali (in particolare i vescovi), e non solo attraverso i singoli movimenti, o le diverse congregazioni o gli ordini religiosi, che pure svolgono in molti casi un ruolo meritorio. Si indica inoltre un terreno di confronto con i movimenti non religiosi che operano sulla questione sociale: terreno determinato pragmaticamente dagli obiettivi da cogliere, e non da un generico attivismo comune. Viene inoltre svolto un ragionamento intorno alla necessità che la carità della Chiesa si rivolga a tutti, cattolici e non cattolici, che non deve essere operata a fine di proselitismo, ma si rivendica anche la necessità per la Chiesa di essere una comunità che opera al suo interno contro le disuguaglianze, ricordando quindi il suo comunismo primitivo come ideale regolativo. Infine si ribadisce come la comunità ecclesiale non possa in ogni caso risolversi nella sola carità, ma deve accompagnare questa con il culto e la preghiera (unione di carità, parola e sacramento, di spirituale e materiale dunque).
In definitiva con questo testo la Chiesa sembra ormai consegnare al passato la lunga guerra di religione in Europa: intende occupare il suo posto nella società europea, ci verrebbe da dire, in modo pacifico e dialogante con le altre parti della società, e rivendica al contempo il suo diritto di essere parte di questa società, non soltanto come insieme di singoli cattolici, ma anche come comunità. Al contempo distingue chiaramente la sua posizione rispetto alla società politica e allo Stato. Da questa posizione guarda però a un mondo grandissimo, in cui si diffondono ideali unificanti ma in cui le condizioni materiali determinano innumerevoli disuguaglianze e ingiustizie, e in cui vuole agire come elemento di riunificazione. Su questo terreno, a quanto pare, il pensiero di Marx può ancora offrire il suo aiuto.