Analisi onto-linguistica del voto

Nell’imminenza delle elezioni, tutti i principali attori dello spazio politico sono impegnati a consultare, commissionare, commentare sondaggi, nella speranza di decifrare umori e tendenze dell’elettorato. Non altrettanta attenzione viene dedicata agli strumenti di analisi del voto, oggetto di sapienti editoriali e rituali direzioni nazionali a urne ormai aperte, quando cioè la frittata è fatta. Qui voglio provare quel che non si è mai provato: intendo sottoporvi la prima analisi elettorale antecedente addirittura la convocazione dei comizi elettorali. L’utilità di un simile esercizio è presto detta: l’analisi verte esclusivamente sull’offerta politica e, non avendo a disposizione il risultato delle urne, ne valuta la credibilità senza avvalersi del bene più largamente distribuito tra gli studiosi dei comportamenti politici: il senno di poi. Ovviamente, in mancanza del riscontro empirico, l’analisi – di cui in questa sede si forniscono solo poche indicazioni schematiche – è stata condotta in termini puramente formali, sulla scorta di principi onto-linguistici che posso considerare accettati dalla maggioranza della comunità scientifica. Ecco dunque i più rilevanti risultati conseguiti, dopo attento studio.
Sulla base del principio di Leibniz: eadem sunt quae sibi mutuo substitui possunt, salva veritate, si può desumere senza difficoltà che, in ragione della loro mutua sostituibilità, Bondi, Cicchitto, Schifani e Buonaiuti (e molti altri ancora) sono assolutamente identici. Baget Bozzo si differenzia, ma è in virtù dello Spirito Santo.
Sulla base dello slogan di Quine: no entity without identity, si può escludere a priori che la lista Verdi/Comunisti Italiani costituisca propriamente un’entità; a leggere all’incontrario lo slogan suddetto, se ne può desumere inoltre che le formazioni politiche guidate da Rotondi, da De Michelis, da La Malfa non conservano alcuna identità storica, visto che sarebbe esagerato considerarle delle entità.
Sulla base della cluster theory di John Searle, secondo la quale i nomi sono ganci a cui appendere le descrizioni, si spiega agevolmente la presenza in lizza di partiti come quello di Mastella o quello di Di Pietro.
Contro il paradigma kripkeano, per il quale i nomi propri non sono affatto sinonimi di descrizioni, basti pensare a Buttiglione.
Sulla base del metodo per l’esplicitazione delle condizioni di verità di Alfred Tarski, secondo il quale l’enunciato ‘p’ è vero se e solo se p, si può ragionevolmente escludere che il presidente del Consiglio produca enunciati trattabili con il metodo suddetto.
Sulla base della confutazione wittgensteiniana dell’esistenza di un linguaggio privato, c’è purtroppo da temere che il presidente del Consiglio vada di nuovo dai magistrati prima del 9 aprile.
Sulla base del principio di decitazione introdotto da Saul Kripke, per il quale se un parlante normale e non confuso concettualmente assente sinceramente a ‘p’, allora egli crede che ‘p’, c’è da supporre che il presidente del Consiglio sia un po’ confuso concettualmente, quando per esempio afferma che negli Stati Uniti voterebbe per i Democratici.
Sulla base della definizione delle condizioni di identità per il senso di un enunciato, dovuta a Rudolf Carnap, secondo la quale due enunciati hanno lo stesso senso se sono veri o falsi nelle stesse circostanze e in tutti i mondi possibili, si può dubitare che quel che dicono Berlusconi, Fini e Casini abbia lo stesso senso. Gli enunciati di Berlusconi pretendono com’è noto di valere in tutti i mondi possibili, quelli corrispondenti di Fini e Casini solo finché c’è Berlusconi.
Sulla base della dimostrazione dell’indeterminatezza di principio del significato dei nomi del linguaggio naturale, si può giurare sulla tenuta ideologica di Rifondazione Comunista, ad infinitum.
Sulla base dello studio austiniano delle performatività di un certo tipo di enunciati, con i quali non ci si limita ad asserire una cosa, ma la si compie anche, c’è caso che Prodi si faccia vedere un po’ di più?
Sulla base della normatività del principio di cooperazione di Paul Grice, il quale dice: conforma il tuo contributo conversazionale a quanto è richiesto dall’intento comune, si può chiedere al centrosinistra la cortesia di dare un po’ più retta a Paul Grice, sennò non ci capiamo niente?
Sulla base dello slogan di Dummett, secondo il quale la soluzione fregeana del problema del significato consiste nell’espellere i pensieri dalla mente, si può concludere che la quasi totalità degli analisti politici adotta una semantica fregeana.
Sulla base dell’ascesa semantica definita da Quine, secondo la quale la discussione su cosa sono gli oggetti si trasforma in una discussione sul modo in cui parliamo di oggetti, si può prevedere l’elevazione all’ennesima potenza della chiacchiera televisiva prima, durante e dopo la campagna elettorale (questo stesso articolo, d’altronde, non ne va esente).
Infine, sulla base dei più recenti studi sull’intelligenza artificiale, e considerando lo spettacolo offerto dalla politica italiana, siete proprio sicuri che l’intelligenza naturale sia migliore? ■