E’ presto per dire se l’acquisto di Bnl da parte di Bnp segni il ritorno di Mediobanca al comando della finanza italiana, dopo il ridimensionamento dell’Istituto seguito alla morte di Enrico Cuccia e dopo i conflitti tra soci bancari e management che, composti con un fragile compromesso, hanno portato alla sostituzione di Maranghi e al congelamento della pratica Generali. Certo, nella sorprendente conclusione della contesa su Bnl si è intravisto qualcosa dell’antica scuola.
Per la riservatezza con cui si è arrivati al fulmineo rovesciamento di fronti, per l’accortezza “politica” con cui si è suggerito all’Unipol di agganciare Guido Rossi e ai parigini di gratificare di una generosa quanto vaga riconferma il Presidente di Bnl Abete. Non solo per offrire agli sconfitti una partecipazione, quanto meno mediatica, alla festa dei banchieri francesi e degli assicuratori emiliani. L’avance all’avvocato d’affari e allo stampatore romano appaiono necessarie, in un paese sconquassato da battaglie finanziarie senza esclusione di colpi, per cautelare l’operazione nei riguardi della Consob, della procura di Milano, del nuovo Governatore della Banca d’Italia e dei giornali confindustriali. Così è, a quanto pare.
Ma è l’impostazione strategica dell’operazione cha ha un timbro “alla Cuccia”, per almeno tre motivi. Il primo, l’abbiamo visto, è la riproposizione di un canone classico della vecchia Mediobanca nel rapporto con i capitalisti di casa nostra: l’Istituto li tutela, ma pretende di assegnare a ciascuno un ruolo preciso, perché si pensa che lasciati a se stessi siano troppo avidi e limitati per combinare qualcosa di buono.
Il secondo motivo classico che ricompare è la preferenza per partner stranieri forti, non speculativi ma dotati di radici e di visione, preferibilmente collocati sull’asse franco-tedesco, cioè nel cuore dell’Europa. Per costruire i soggetti finanziari robusti dell’Europa monetaria e farvi partecipare le imprese italiane, non basta farsi scalare da banche cosmopolite che lavorano in euro, ma occorre avere un mestiere preciso da fare in Europa, nel Mediterraneo, sulle rotte dell’est.. In fondo è quello che – come Bnp – fanno Unicredit, Generali, Intesa. Le creature, dai tratti ribelli, che tuttavia più risentono dell’imprinting di Enrico Cuccia. Negli ultimi anni della sua vita, infine, Cuccia aveva due tormenti: da un lato il destino della sua banca, dall’altro la percezione drammatica del declino di quel capitalismo del triangolo industriale al cui consolidamento aveva dedicato la vita.
Da qui l’interesse per l’evoluzione delle ex aziende pubbliche (Telecom, Eni, Enel, Edison, le uniche in grado di presidiare settori ancora vitali) e l’attenta ricerca, tra le imprese del capitalismo nascente, al di fuori dei tradizionali confini geografici dell’industria italiana, di forze nuove in grado di irrorare le arterie di un’economia sclerotica. Qui nasce il rapporto con Unipol a cui Cuccia fece cedere da Generali il 50% di Bnl vita, quando la compagnia triestina comprava l’Ina. Di quella fascinazione per l’evoluzione delle imprese cooperative e per lo spettacolare sviluppo della loro compagnia di assicurazione si avverte l’eco nella vicenda odierna. Mediobanca infatti, insieme a un management cooperativo che ha saputo farsi apprezzare, hanno fatto compiere a Unipol, con l’accordo con Bnp, un balzo i cui sviluppi si potranno apprezzare interamente nell’arco di qualche anno. Oltre all’acquisizione gratuita di Bnl vita, alla tutela e all’ampliamento di un solido sistema di alleanze nazionali ed estere, oltre alla partnership con la nuova Bnl, a Unipol, e al sistema cooperativo, restano 4 miliardi abbondanti di liquidità, con i quali svolgere un ruolo importante nelle due principali vicende finanziarie che si aprono: l’ulteriore consolidamento del sistema bancario e la ridefinizione del controllo di Telecom. In entrambe Bologna potrà dire la sua, senza farsi intimidire né assegnare la parte da qualche editorialista zelante.