La protesta induista

Chi si ricorda di quella protesta indù dell’anno scorso? Un’azienda francese, piuttosto di tendenza, aveva stampigliato l’immagine del dio Rama sulle sue scarpe. Vendite a gonfie vele ma indù incazzati come bisce che minacciarono nell’ordine: denuncia alla Corte Ue dei Diritti dell’uomo, boicottaggio dei voli Air France e dell’assegnazione dell’Olimpiade 2012 alla Francia. L’azienda prese atto che “Rama è attualmente venerato da un miliardo di indù in tutto il mondo” e ritirò il prodotto dal mercato. Episodio diverso da questo delle vignette danesi, ma poi mica tanto. Lì la salvaguardia della dignità di un credo religioso contro il dio mercato, qui la difesa della Libertà-di-Stampa dalle pretese di censura di una religione che considera blasfemo raffigurare il Profeta. La sacralità della legge non prevede che si metta la mordacchia a chicchessia? Ma anche la legge sacra – lasciamo stare se strumentalizzata dai fondamentalisti – vieta che in nome della fede di Voltaire si possa offendere il sentimento di comunità molto numerose anche in Occidente. E allora? A pensarci bene non conviene a nessuno, tantomeno a noi, metterla sul piano dello scontro tra divinità. E’ per questo motivo che, a naso, ripubblicare le vignette incriminate non ci è parsa – visti i tempi – una bella pensata. Perché, quando ci sono troppi dèi l’un contro l’altro armati, un po’ di sano pragmatismo non guasterebbe. E in fondo anche questo è un valore dell’Occidente.