Mick Jagger e i rituali del Superbowl

Il Superbowl, per gli americani, è l’equivalente di una finale mondiale di calcio. Del resto il football è uno degli sport nazionali assieme al baseball, alla pallacanestro e all’hockey. Con l’unica differenza che la finale del campionato si gioca in una partita secca, mentre gli altri sport prevedono più di una gara per l’assegnazione del prestigioso titolo. Il Superbowl è l’atto finale di una stagione iniziata a fine agosto. Un evento che per tradizione è fra i più seguiti, oltre che un momento di spettacolo senza pari. Si dice anche sia uno dei giorni in cui gli americani mangiano di più, secondo solo al Ringraziamento. Gli spazi pubblicitari durante la partita sono fra i più costosi del pianeta e il football concede numerose pause di gioco buone per gli inserzionisti. Oltre a una visibilità senza precedenti. A questo bisogna aggiungere lo spettacolo nello spettacolo dell’halftime, il momento fra il primo e il secondo tempo in cui si esibisce la “guest star” musicale. Di solito si tratta di ospiti di grosso calibro, vista la platea, e molti ricorderanno lo scandalo a seno scoperto di Janet Jackson in duetto con Justin Timberlake. Quest’anno, per il Superbowl XL a esibirsi sono stati i Rolling Stones, poco più di quarant’anni di carriera, praticamente coetanei del Vince Lombardi Trophy. E proprio la musica dei Rolling Stones è stata utilizzata come colonna sonora in uno spot quanto mai azzeccato, mandato in onda da Sky nei giorni precedenti l’evento. La canzone era “You Can’t Always Get What You Want” – non puoi sempre avere quello che vuoi – e racconta nel modo migliore lo stato d’animo di chi questo Superbowl lo ha perso sul campo. Ovvero i Seattle Seahawks, dati per favoriti al termine della stagione regolare. Poi il percorso di avvicinamento a Detroit – città ospitante il Superbowl – ha ribaltato i valori. I Pittsburgh Steelers sono scesi in campo da favoriti, seppure di poco, e hanno confermato i favori del pronostico.
Il momento più eccitante, dopo un primo tempo tattico in cui le squadre si sono annullate a vicenda, è stato proprio l’arrivo dei Rolling Stones nell’halftime show. Mick Jagger, istrionico come al solito, ha provato a incendiare il pubblico più di quanto non avessero fatto le squadre nei primi due quarti. Poi, smontato a tempo di record un palco gigantesco e molto coreografico, si è tornati allo sport. Pronti, via: e Willie Parker spezzava in due la gara con una corsa da 75 yard conclusa con un touchdown. Poi un numero da circo tirato fuori dalle pagine segrete del playbook: un TD pass di Randle El per Hines Ward.
Jerome Bettis questo Superbowl lo voleva vincere, nella sua città natale, alla sua ultima partita prima del ritiro già annunciato. Ben Roethlisberger glielo aveva promesso: a Denver ti ci porto io. E la promessa Big Ben l’ha mantenuta alla grande, sebbene giocando una partita orrenda dal punto di vista statistico. Roethlisberger aveva promesso di radersi in caso di vittoria. Troy Polamalu, invece, evitato come la peste dall’attacco di Seattle per tutta la partita, continuerà a non tagliarsi i capelli. Per il sesto anno di fila.