I Giochi olimpici sono l’occasione per scoprire, o riscoprire con cadenza quadriennale, nuovi mondi sportivi. Lo sci alpino, nel complesso, è in cattedra tutti gli inverni. Per quanto l’anno olimpico sia importante, e per il singolo atleta sia l’occasione di coronare una carriera con un’unica gara, o di vivere nel rammarico, come è toccato allo sfortunato Ghedina, per chi lo sport lo guarda in tv si tratta di intensità diverse di uno stesso sapore. La particolarità dei Giochi è data dal resto, dalle discipline che escono dal menu ordinario, dallo scoprire in che altri modi la forza, la destrezza, il coraggio, citius altius et fortius, si possono esprimere.
Il coraggio è, ad esempio, quello dei temerari delle macchine scivolanti. Bob, slittino e – poiché lanciarsi a cento all’ora dentro un tubo di ghiaccio su una tavoletta coi pattini stando sdraiati a testa in su pareva poco – lo skeleton, lo slittino al contrario, testa avanti e via. La forza, la resistenza, sono quelle dello sci nordico. Vero e proprio ciclismo sulla neve, con i suoi tatticismi, le sue volate, e sovrumane fatica e sofferenza. La destrezza – ma anche una discreta dose di incosciente coraggio – è nel freestyle. L’abbiamo scoperto sabato. Gara femminile, specialità gobbe. Si tratta di una discesa su una pista gibbosa eseguendo due salti da trampolini posti sul percorso. Le atlete, in quelle tute larghe, sembrano personaggi di videogame, e le evoluzioni tolgono ogni dubbio: lo sono.
Al cancelletto di partenza si affaccia l’atleta norvegese. Dal casco spuntano due lunghi ciuffi biondi, da elfo delle nevi. Parte. Al primo salto restiamo a bocca aperta, al secondo siamo in pensiero per lei. All’arrivo è prima. Sorride, si solleva la maschera. Siamo innamorati.
Mentre scendono le altre ci informiamo. Si chiama Kari Traa, trentadue anni appena compiuti, campionessa olimpica uscente. Ha iniziato a sciare sulle gobbe a quindici anni. Nel suo paese, Voss, in Norvegia. Avrebbe voluto iscriversi allo sci club ma si vergognava, era timida (la timidezza deve esserle passata, a giudicare dal provocante servizio apparso sulla rivista norvegese Ultrasport). Scendono una svedese, una giapponese, Kari è sempre prima. Nel ‘92 ad Albertville ha partecipato alla sua prima Olimpiade. Due anni dopo, a Lillehammer, proprio in Norvegia, ha dovuto rinunciare a causa di un infortunio. Noi siamo commossi, lei è sempre prima, ci sorride. Ha un sito internet personale, e una linea di abbigliamento che porta il suo nome. La gara si avvia alla conclusione, Kari è sicuramente sul podio. In Norvegia sono più famosi gli sciatori di fondo, ma lei è contenta di rendere popolare un altro sport.
Manca l’ultima ragazza, Jennifer Heil, Canada, nove anni meno di Kari. Non oserà, pensiamo. Esegue il primo salto. Perfetto, per quanto possiamo capirne noi. Anche il secondo, dannazione, è un bel salto. Taglia il traguardo, i giudici decidono che ha vinto, sorride. Anche Jennifer Hail ha un sito personale, per la linea di abbigliamento ha tempo fino ai prossimi Giochi. Che saranno proprio in Canada, a Vancouver, nel 2010. Jennifer Hail avrà ventisei anni. E’ per questo che le Olimpiadi sono meravigliose.