Pera e gli zingari di Husserl

Il maggiore pericolo dell’Europa è la stanchezza”: nel maggio del 1935, a Vienna, il “presunto reazionario” Edmund Husserl tiene una conferenza su La crisi dell’umanità europea e la filosofia, i cui materiali confluiranno poi nell’ultima grande opera del filosofo su La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. La conferenza è un’appassionata risposta alla “crisi dell’esistenza europea di cui tanto si parla” (negli anni ’30, in effetti, se ne parlava molto, e con ragione), “documentata da innumerevoli sintomi di dissoluzione” e che agli occhi del filosofo, intenti a cogliere la radice spirituale del fenomeno Europa, poteva avere “solo due sbocchi: il tramonto dell’Europa, nell’estraneazione rispetto al senso razionale della propria vita, la caduta nell’ostilità allo spirito e nella barbarie, oppure la rinascita dell’Europa dallo spirito della filosofia”. Ciò che per Husserl è filosofia, è nel testo dell’appello per l’Occidente promosso dal Presidente del Senato Marcello Pera l’insieme severo dei “costumi millenari” della nostra storia, a sostenere i quali contribuisce con maggior vigore del logos greco – stando ai temi e agli accenti dell’appello – la radice ebraico-cristiana. Quella radice il cui mancato riconoscimento nel preambolo del trattato costituzionale europeo il Presidente Pera mette tra i sintomi della crisi europea di cui tanto oggi parla.
Non è una differenza di poco conto, ma è una differenza che probabilmente viene giustificata così: ormai solo la Chiesa cattolica ha il coraggio di difendere con convinzione una ragione universale, una ragione forte, sicura, nel pieno godimento dei suoi diritti, non più snervata dalla critica, non più infiacchita dallo scetticismo, non più ridotta a mera ragione strumentale, a tecnica e calcolo. In effetti, nella polemica contro il relativismo che il Presidente del Senato conduce all’unisono con Papa Benedetto XVI (l’unico che abbia nell’appello l’onore di una citazione) si ritrova con esattezza la critica husserliana alla riduzione positivistica dell’idea della scienza, ad un concetto ‘residuale’ di ragione dal quale sono “esclusi per principio i problemi più scottanti per l’uomo, i problemi del senso e del non-senso dell’esistenza umana nel suo complesso”. Certo, in virtù dell’alleanza con la Chiesa, la lotta di Husserl contro il naturalismo e l’obiettivismo della scienza si amplia nell’appello a lotta contro “il laicismo e il progressismo”, ma la convinzione filosofica è al fondo la stessa. Con le parole di Husserl potremmo forse dare ancora maggior vigore all’appello del Presidente del Senato. Eccole: “Se l’uomo smarrisce questa fede [la fede nella ragione, contrapposta al relativismo delle mere opinioni] ciò non significa altro che questo: egli perde «la fede in se stesso»”. Ancora: “Le vere battaglie spirituali dell’umanità europea sono lotte tra filosofie, cioè tra le filosofie scettiche – o meglio tra le non-filosofie, che hanno mantenuto il nome ma che hanno perduto la coscienza dei loro compiti – e le vere filosofie, quelle ancora vive”. Le vere filosofie lottano in Husserl contro l’irrazionalismo e lo scetticismo, proprio come nell’appello la risvegliata coscienza dei compiti dell’Occidente si disegna in contrasto con il fondamentalismo da una parte, e il relativismo dall’altra. E quando Husserl si chiede – è il senso del suo progetto filosofico – “che cosa dobbiamo fare per poter credere, noi che già crediamo?”, ci dà modo di comprendere in quale disposizione sia stato pensato il manifesto di Marcello Pera, poiché la fede di Husserl nell’ideale razionale della filosofia, una volta che nella filosofia venga riconosciuto il “fenomeno originario dell’Europa spirituale”, è la stessa fede del Presidente del Senato nell’Occidente.
Europa, Occidente: non sono il medesimo. Nella conferenza del ’35, Husserl scrive: “In un senso spirituale rientrano nell’Europa i Dominions inglesi, gli Stati Uniti, ecc., ma non gli esquimesi e gli indiani che ci vengono mostrati nei baracconi delle fiere, o gli zingari vagabondi per l’Europa”. E ancora: “L’appartenenza all’Europa è qualcosa di estremamente peculiare, qualcosa di sensibile per gli altri gruppi umani i quali, nella costante volontà della preservazione spirituale e a prescindere dal calcolo dell’utilità, possono sentirsi indotti al tentativo di europeizzarsi. Noi invece, se siamo consci di noi stessi, ben difficilmente cercheremo di diventare indiani”.
Con l’appello per l’Occidente di Marcello Pera posso finirla qua. Avrei potuto farne oggetto di polemica e di ironia (i costumi millenari difesi con il sistema proporzionale nell’aprile… del ’48?); avrei potuto condurne una critica più ravvicinata, per evidenziarne gli aspetti più retrivi: ho invece preferito dare all’appello la maggiore caratura possibile, e far finta che davvero i costumi e le tradizioni difese siano il costume e la tradizione della ragione. Ma ora, con l’appello, posso davvero finirla qua, con queste due ultime citazioni, prelevate da uno dei libri più importanti del ‘900, scritto da uno dei maggiori filosofi del ‘900. Della cui probità intellettuale non v’è ragione di dubitare, della cui appassionata tensione morale non ha senso discutere, e che, di origine ebraica, terminerà i suoi giorni, nel ’38, piantonato dalle SS, ma che non se la sentiva di includere nell’Europa spirituale – cioè nell’umanità autentica – gli zingari vagabondi per l’Europa. E che di meticciarsi con gli esquimesi o con gli indiani non aveva alcuna voglia. Nel corso del ’900, la filosofia (dico la filosofia, perché Husserl lottava per la filosofia) ha portato con coraggio allo scoperto questo rovescio poco nobile della ratio occidentale. E ha considerato questa capacità di critica e di autocritica una sua forza, non una sua debolezza: la forza necessaria, per esempio, per evitare di costruire bastioni spirituali, che per gli europei stessi si sono già rivelate prigioni. È vero che la critica dell’eurocentrismo non può rimanere prigioniera del suo cieco rovesciamento; è vero che dell’Europa non deve restare solo un atto di dolore, ma serbare memoria del dolore rimane la più alta conquista di civiltà che l’Europa abbia raggiunto. Ora i promotori dell’appello si sono stufati. Gli zingari vagabondi per l’Europa stiano attenti: Pera li ha avvisati.