L’ Italia è proprio un paese fantastico. Sono bastate pochissime settimane, ed ecco che le stesse testate e grandi firme dei giornali vicini all’attuale vertice di Confindustria sono passate in blocco da mesi e mesi di tambureggiante offensiva per aprire le porte allo straniero in Antonveneta e Bnl, alla scoperta che a questo punto senza lo scudo dei no discrezionali di Fazio l’italianità delle grandi banche è a rischio. Esposta alla protervia dirigista di gruppi come quelli francesi, dietro i quali – si tratti del credito come dell’energia, delle assicurazioni come delle tlc – c’è un governo capace di interpretare con forza la cornice europea come un forum a senso unico, nel quale a casa propria i gruppi stranieri non entrano mentre in casa altrui quelli francesi fanno man bassa. E per Dio, occorre fare qualcosa al più presto, perché la “fluidificazione degli assetti proprietari” di cui ieri scriveva sul Corriere della sera Dario Di Vico non porti gruppi come Telecom Italia, Fiat e Autostrade a dipendere da grandi banche che di italiano serberebbero solo il nome, se i loro headquarters fossero conquistati da stranieri. E per Bacco bisogna che la politica si svegli e aiuti, visto che i pm con i loro provvedimenti cautelari azzoppano grandi banchieri come Cesare Geronzi e tutti a quel punto insorgono, a cominciare dal Sole 24 ore. Dicono che sia stato lo stesso professor Bazoli – preoccupato della necessità di porre in essere al più presto la maxi aggregazione con Capitalia prima che l’Agricole se ne faccia distogliere e che Axa metta gli occhi sulla possibilità di tirare un colpo gobbo a Generali impaniata nell’intrico mediobanchesco – a ispirare a Romano Prodi la sua inusitata uscita in cui ha minacciato ritorsioni antifrancesi tanto sull’energia quanto nel credito, bloccando l’opa di Bnp su Bnl. Con il povero Enrico Letta costretto a dire che quello di Prodi è solo un colpo in aria di avvertimento, perché è impensabile che l’ex presidente della Commissione europea si candidi lui per primo a mettersi i principi del mercato unico sotto i piedi.
E’ esilarante, scoprire che a coloro che in Bnl andavano non bene ma benissimo gli spagnoli del Bbva piuttosto che gli italiani di Unipol, oggi siano pronti a bloccare gli odiati galli del Bnp. O meglio, più che esilarante è preoccupante, perché conferma che nella battaglia della scorsa estate Rcs e soci hanno condotto una campagna unicamente intesa a preservare la propria intangibilità, trascurando del tutto la debolezza sistemica dell’intreccio banco-industriale italiano. Per poi tentare di mettere sotto schiaffo i Ds sulla vicenda Unipol, per “ammorbidire” la parte politica del centrosinistra più restia dall’abbraccio dei colli frascatani tra Confindustria, margheritici e vertici bancari. Per fortuna ci ha pensato l’improntitudine di Berlusconi con la sua visita alla Procura di Roma, a disinnescare la contesa sanguinosa a sinistra che il Corriere aveva aperto, e che tanti esponenti del centrosinistra hanno poi alimentato, alcuni in buona fede, ma i più direi proprio di no. Esponenti della sinistra che dovrebbero riflettere prima che sia troppo tardi e che un domani la contesa si riapra – com’è fatale che sia, l’agenda-Monti nella versione Mieli va molto al di là della limpida buona fede del rettore Bocconi – sul fatto che a predicare della “fluidificazione” degli assetti proprietari italiani sia il quotidiano che ha teorizzato e praticato la linea Maginot intorno a quel fulgido esempio di contendibilità proprietaria che è il patto di sindacato Rcs.
A rassicurare, purtroppo, in questo frangente non ci sono molti elementi.
E’ sicuramente rassicurante, che esponenti di primo piano dei Ds non siano caduti nella trappola del terrore che attanaglia i vertici banco-industriali italiani, e replichino un convinto “no grazie” alle improvvise uscite di chi dalla sera alla mattina disegna megascenari statal-dirigisti fatti della somma di Eni ed Enel pubbliche, e di decreti autarchici ammazza-franchi o stermina-spagnoli. Devo esprimere a questo riguardo i sensi della mia personale più profonda stima per un esponente da cui mi dividono molte cose quando si parla di tasse – sto parlando di Vincenzo Visco – ma non quando si tratta di capitalismo italiano. Quando alla nomina di Draghi disse in un’intervista a Finanza&Mercati che i banchieri e gli industriali italiani si sarebbero stupiti, apprendendo che il neogovernatore era comunque molto preoccupato della precarietà degli assetti finanziari italiani esposti ai grandi gruppi internazionali, il Corriere della sera lo azzannò con un corsivo al vetriolo, e lo dipinse naturalmente come “nostalgico di Fazio”, sbertucciandolo più o meno come un relitto del passato. Senonché poi Draghi al primo Cicr disse esplicitamente esattamente ciò che Visco aveva preventivato, ammonendo che egli non avrebbe difeso le banche italiane con lo scudo dei suoi filtri amministrativi discrezionali come in passato, ma certo o le banche italiane mettevano mano subito a un paio di grandi fusioni, oppure sarebbero stati dolori. E a quel punto Visco giustamente ha rilasciato a Finanza&Mercati un’altra intervista puntuta, con la buona grazia di non rendere se non sotto i baffi al Corriere lo sbertucciamento del quale era stato ingiustamente reso vittima.
Sarebbe ancor più rassicurante, se la cosiddetta “finanza rossa” uscisse per parte sua dalla guerra di trincea in cui è stolidamente caduta, e avesse l’avvedutezza per esempio di far fare a Unipol in Montepaschi ciò che non le è stato consentito in Bnl. Venerdì scorso ho partecipato a una assemblea di Legacoop a Reggio Emilia in cui è stato illustrato un interessantissimo sondaggio su come la vicenda Consorte abbia macchiato o meno l’immagine delle coop agli occhi dei cittadini di una delle province più rosse d’Italia, e che al contempo è la provincia in cui Legacoop ha il più forte insediamento economico rispetto a tutto il resto del paese. La cosa che più mi ha colpito non è stato apprendere che Legaccop resta l’associazione che più ispira fiducia ai reggiani dopo l’Arma dei carabinieri – con un 63,8% , somma dei giudizi “molto” o “abbastanza” positivi, rispetto all’83,2% della Benemerita. Il dato più eclatante è che in una delle province di più radicato consenso ai Ds, a svettare nella graduatoria della sfiducia è il partito politico, con una somma di 53,1% tra coloro che di fiducia nei suoi riguardi ne esprimono “poca” o “per niente”. Legacoop, in paragone, sta messa benissimo, con un indice di sfiducia astronomicamente più basso, al 16,8%. Vorrà dire qualcosa? Al popolo di sinistra la lezione di finta contendibilità e trasparenza – impartita alla Unipol dai vertici banco-industriali italiani per tramite dei loro giornali e in cui metà buona dell’Unione ha avuto l’interesse di cadere – per fortuna non è piaciuta per niente. E poi dicono che bisogna diffidare dell’istinto popolare… >