Di questi tempi in Italia si fanno scoperte sensazionali. Appena una settimana fa commentavamo l’improvvisa riscoperta dell’italianità e la riconosciuta necessità di procedere a significative aggregazioni tra le principali banche italiane; la riabilitazione del leverage buy-out, passato in così breve tempo da strumento tipico di un capitalismo primitivo e opaco a via maestra per l’introduzione di nuovi soggetti nel nostro asfittico capitalismo; le tante analisi convergenti sul problema degli assetti proprietari e della scarsa contendibilità delle nostre imprese. E’ chiaro che dopo la cacciata di Fazio dalla Banca d’Italia – con tutto quello che ne è conseguito – in Italia la musica è cambiata. E tutt’altra melodia ha cominciato a diffondersi nell’aria, scandita dai provvedimenti giudiziari per Cirio e Parmalat, dall’interdizione di Geronzi e persino dal risveglio della Consob sul caso Ifil-Exor, che ha portato alle perquisizioni alla Fiat e a Merrill Lynch.
In pochi si sono però soffermati sul fatto che l’accusa ipotizzata nei confronti dei vertici Fiat – aggiotaggio informativo – non è diversa da quella che ha colpito tanti celebri furbetti del quartierino. E che le operazioni contestate si sono svolte negli stessi mesi in cui i grandi giornali erano impegnati nella campagna a difesa delle regole del mercato e dell’etica del capitalismo. Una campagna interamente costruita su una montagna di intercettazioni, spesso prive di alcuna rilevanza penale e ciononostante impiegate a piene mani in una guerra tra diverse e contrapposte cordate che nulla aveva a che vedere con l’etica degli affari e tanto meno con la libertà di stampa.
Ma in queste settimane in Italia si fanno scoperte sensazionali. Ed ecco che improvvisamente emerge come da anni nel nostro paese operasse una rete di spionaggio illegale, legata al mondo della grande industria e in particolare a quel settore delle telecomunicazioni dal quale passano le intercettazioni di tutte le procure d’Italia. Senza dimenticare, naturalmente, i servizi segreti. Una rete intrecciata inestricabilmente a quel vasto sottobosco di agenzie di security, elementi delle forze dell’ordine ancora in servizio o in pensione, polizie parallele e pubblici ufficiali infedeli, in cui dagli anni cinquanta a oggi la destra di matrice neofascista ha messo radici robuste.
Il caso Storace è il dito. La luna che oggi illumina lo scandalo delle intercettazioni illegali ai danni degli oppositori dell’allora presidente del Lazio – e che i giornali non hanno mancato di raccontare, va da sé, attraverso la pubblicazione di nuove intercettazioni – è rappresentata da quel mondo nascosto che da sempre si muove attorno alla destra italiana e agli apparati dello stato.
In questi giorni in Italia si fanno scoperte sensazionali. La più sensazionale di tutte, però, resta la dichiarazione di voto del direttore del Corriere della sera a favore del centrosinistra, perché Romano Prodi ha dimostrato di avere tutti i titoli per governare. Certo Mieli non si riferiva ai titoli del suo giornale. Ma comunque la si pensi sul passato, non si può non salutare con favore la nitida scelta di campo del quotidiano che più di ogni altro ha cercato in questi anni di favorire la sostituzione di Prodi con Veltroni, la strategia rutelliana contro il progetto di un nuovo partito riformista, il fallimento delle primarie e il grande sogno di un pareggio elettorale seguito da nuovi governi tecnici, magari guidati proprio da Luca Cordero di Montezemolo. Detto questo, il nitido editoriale di Mieli non si può non salutare con favore. E noi, infatti, non vediamo l’ora di salutarlo.