Ipotesi sulla piccola vittoria

Le nostre ultime elezioni non possono essere spiegate, nelle loro molteplici inspiegabilità, senza porsi una domanda: perché tutti sono stati tanto sorpresi dalla piccola vittoria del centrosinistra dopo essersene attesa una molto netta? Il ragionamento che voglio proporre parte dalla valutazione di due ipotesi.
La prima è che, come in altre democrazie avanzate, qualcuno si è posto l’obiettivo di risvegliare gli zombi. Si tratta di cittadini che normalmente sono poco e male interpretati dalle campionature statistiche. Di cittadini che non hanno una mentalità politica, ma anti-politica, o pre-politica, o post-politica. Nel caso delle elezioni presidenziali Usa Karl Rove, consigliere di Bush, ha puntato forte sul voto fondamentalista cristiano. Non si tratta di puro marketing, sia chiaro, ma di una strategia che si integra con il conservatorismo di Bush il giovane, e con la principale scelta politica della sua presidenza: la guerra al terrorismo islamico. Il fondamentalismo religioso è una realtà al contempo pre-politica (perché ricorre all’identità piuttosto che alla cittadinanza), e anti-politica (perché è sia contro l’intellighentsia liberal e moderata delle grandi città, dai Clinton a Bush il vecchio, sia contro lo spirito di complessità e compromesso tipico della politica).
Nel caso del grande recupero del centrodestra italiano Berlusconi ha scelto di urlare forte, di attaccare ambiguamente l’establishment di Confindustria (che può attrarre sia un voto populista-popolare, sia il voto delle partite-Iva e degli industrialotti), e di chiamare coglioni coloro che non votano secondo il proprio interesse. Per motivi diversi si tratta di un comportamento mirante ad attrarre un voto anti-politico: perché la politica non è votare chi ti fa risparmiare forse in media cinquecento euro annui di Ici. Ma in questo voto c’è ovviamente anche un elemento anti-elitario: perché nessun politico, e tantomeno il paludato Fini o il moderato Casini, userebbero argomenti del genere. Di nuovo, però, non si tratta di puro marketing perché questo modo di essere anti-politico si addice a Berlusconi (che non è un politico) e perché punta a rimarcare una differenza tipica fra centrodestra e centrosinistra rispetto alle tasse.
La strategia di risveglio degli zombi in Italia, però, avviene in modo diverso dagli Usa, perché la Chiesa cattolica è congenitamente conservatrice, ma non fondamentalista come le sette americane. L’argomento anti-fiscale, anche, è utilizzato in modo più populista di quanto per esempio abbia fatto la Merkel nella sua fallimentare campagna elettorale, e la Thatcher nel suo lungo governo. In quei casi si trattava di ricette tipicamente politiche: proposte dall’alto di un’ideologia liberista, o da grandi professori. Esse non puntavano a “resuscitare gli zombi” dell’anti-politica, anzi: grazie all’uninominale la Thatcher ha vinto con percentuali di voto basse, e la Merkel è stata appunto accusata di tradire l’anima popolare della Cdu. Non hanno avuto bisogno di usare epiteti inauditi. Berlusconi, invece, non ha sventolato un’ideologia, o una dottrina economica di dignità universitaria, bensì “una sorta di etica dell’irresponsabilità”, per cui se a me come individuo (non come cittadino) conviene qualcosa, devo votare senza altre complesse considerazioni politiche per chi la propone. Così si arriva all’83% dei votanti, sbaragliando i criteri sondaggistici e recuperando una situazione di grande svantaggio. Tutte circostanze e valutazioni assenti o secondarie nel caso della Thatcher e della Merkel.
Forse anche l’altra grande dichiarazione-scandalo berlusconiana è servita a proporre in modo populista un elemento ideologico come l’anticomunismo. Parlare, o meglio urlare, di bambini bolliti in Cina può avere utilizzato questo elemento con vari obbiettivi. Uno è stato quello di alimentare, almeno subliminalmente, le suggestioni protezionistiche contro la Cina, paese di cui tanta parte dei nostri piccoli imprenditori (ma anche i loro operai) hanno una paura fottuta. E qui possiamo dire che ciò può avere richiamato un altro segmento di elettori che altrimenti, per i risultati raggiunti dal governo, forse si sarebbero astenuti, anzi, che in effetti in Lombardia e Veneto si erano astenuti proprio nelle ultime elezioni regionali.
Ma la sparata sui cinesini bolliti può essere servita anche a segnalarsi ad un elettorato diverso, magari moderato e non tanto berlusconiano, nel senso di anti-politico o populista. Parliamo dell’elettorato post-democristiano deluso dalle prestazioni del governo che si chiedeva però dove ritrovare il vecchio scudo che protegge dalla sinistra. Una sinistra che stava vincendo. L’ipotesi è che qualcuno di questi elettori potrebbe essere andato a votare all’ultimo momento non tanto per far vincere Berlusconi, ma proprio perché tutti i sondaggi davano ormai trionfante la sinistra. Cioè per il panico che potesse vincere troppo. E’ questo, in fondo, che Berlusconi fa dal 1994: proporre se stesso a un elettorato già democristiano sgomento dinanzi alla possibilità che il paese sia lasciato in balia della sinistra. Potrebbe essere benissimo che sia questi ultimi, più moderati e individuati dai sondaggi, sia gli altri che abbiamo nominato sopra, più estranei ai giochi e più anti-politici, abbiano pensato e detto convintamene ai sondaggisti che non sarebbero andati a votare. O che comunque non avrebbero votato Berlusconi. E però poi i fuochi di artificio delle ultime settimane li hanno attratti, facendo esplodere la partecipazione al voto.
Ma torniamo ai moderati che hanno votato il centrodestra. E’ possibile, come qualcuno ha ipotizzato, che alcuni di questi abbiano votato per il centrodestra convinti, più o meno, di non votare per Berlusconi. In questo è stata geniale la legge elettorale prodotta dal governo della Cdl. Perché essa consentiva di votare per l’Udc e Casini (che del resto aveva il nome nel simbolo) con una logica di “No alla sinistra, ma anche agli eccessi di Berlusconi”. Qualcosa di analogo si dica per chi ha votato per An e Fini, il cui ragionamento potrebbe essere stato: “I comunisti e la sinistra mai, ma voto contro la Lega di Bossi”. E i dati dicono, infatti, che il recupero di voti della Cdl nelle grandi regioni del nord non ha premiato Lega e Forza Italia, ma An e Udc. Esiste insomma un elettorato di centrodestra che vota la Cdl senza alcun entusiasmo e che non stima affatto il Cavaliere, ma che “si tura il naso” se gli viene offerto il seguente combinato disposto: a) un richiamo anti-sinistra forte (e qui Berlusconi è fondamentale perché con la sua spudoratezza suscita allarme, e fa schiumare la sinistra, il che produce ancora più allarme nei moderati); b) la possibilità esplicita di votare per una coalizione capace di accogliere l’allarme dei moderati di centrodestra, ma senza votare candidati leghisti o berlusconiani come sarebbe capitato con l’uninominale (e qui è fondamentale potere mettere materialmente la croce sull’Udc, o su An). E’ probabile che se fosse mancato anche uno solo di questi due fattori e, ci ritorno, se fosse mancato anche il decantato grande vantaggio di una sinistra percepita da molti senza argini dopo le vittorie elettorali di questi anni, il gioco della massima mobilitazione che sfugge ai sondaggi non si sarebbe potuto realizzare.
Infine, sia nelle elezioni amministrative, sia in quelle politiche con l’uninominale, il centrosinistra ha sempre potuto utilizzare una sua mobilitazione e conoscenza del territorio che ha funzionato “da filtro” fra il potere mediatico di Berlusconi e il singolo elettore. Questo filtro, che ci sarebbe stato, eccome, se si fosse votato con il sistema uninominale, è venuto a mancare questa volta. La legge elettorale ha così in questo senso consentito ai messaggi di Berlusconi (sia verso il voto “zombi” anti-politico, sia in modo diverso verso i moderati) di ottenere il massimo effetto, aggregando i diversi elettorati e facendo un pieno di voti pari a quello (egualmente straordinario) realizzato dal centrosinistra.