Ripubblichiamo qui l’intervista rilasciata dall’allora deputato del Pds Franco Bassanini ad Antonio Padellaro, uscita sull’Espresso del 31 maggio 1992, nel pieno del dibattito sull’elezione del presidente della Repubblica (l’occhiello recitava: “Quirinale/candidati mancati – Il consigliere di Craxi in corsa per il Colle? Il deputato Bassanini ha avuto un sussulto: lui non lo avrebbe mai votato. Qui spiega perché”).
Gran consigliere del capo, vicesegretario del Psi, Giuliano Amato è l’avanguardia di Bettino Craxi nelle più ardite operazioni di potere. Dopo averlo innalzato a prestigiosi incarichi di governo (nel 1987 la vicepresidenza del Consiglio e il ministero del Tesoro), domenica 17 maggio Craxi ha proposto questo deputato torinese di 54 anni e apprezzato giurista nientemeno che come presidente della Repubblica (candidatura però bruciata dal Pds, e liquidata dall’ideologo della Lega Gianfranco Miglio come «un passaggio a una personalità minore»). A tanta fiducia da parte del suo leader Amato ha risposto mettendo a disposizione nei frangenti più difficili la fama di persona retta e un uso accorto delle sottigliezze giuridiche: nominato commissario della federazione di Milano travolta dallo scandalo delle tangenti (per un analogo imbarazzante incarico fu inviato a Torino nel 1984), Amato lunedì 11 maggio è andato a “Mixer” per difendere a spada tratta il sistema dei partiti, solo baluardo contro «gli interessi particolari». Amici e avversari gli riconoscono talento e competenza; ma c’è chi non gli perdona di essere passato con Craxi dopo esserne stato un fiero nemico. Per esempio Franco Bassanini, che con Amato ha condiviso gli studi, la militanza socialista e una lunga consuetudine spezzata dall’arrivo di Craxi. Bassanini, oggi deputato del Pds dopo essere stato radiato dal Psi, ha deciso di parlare con “L’Espresso” di Amato dopo la sua effimera candidatura al Quirinale.
«Mettendo a posto delle carte ho trovato una lettera di Giuliano. Mi scriveva da Ansedonia nell’estate del 1976, due mesi dopo l’ascesa di Craxi alla segreteria del Psi, con queste parole: “Caro Franco, piuttosto che fare politica con questi cravattari sarebbe meglio ritirarsi a vita privata. Ma noi non ci ritireremo”».
In politica non è lecito cambiare idea?
«Certo, ma quando alla vigilia delle elezioni per il Quirinale ho letto quella frase di Amato: “Tra Bobbio e Forlani preferisco Forlani”, ho avuto un brivido. Bobbio è stato un maestro di pensiero per Giuliano e per me, e con Giuliano in particolare aveva rapporti intensissimi. Dopo il Midas, Bobbio ispirò tutta l’area di opposizione a Craxi e che rifiutava la saragattizzazione del partito. Ci fu un famoso convegno all’hotel Parco dei Principi e Amato fece contro il craxismo uno dei discorsi più duri».
Allora lei e Amato eravate per l’alternativa di sinistra a tutti i costi.
«Sì, e voglio raccontarle un episodio. Siamo nel 1976, l’avanzata elettorale del Pci sembra inarrestabile. Il regime democristiano è ormai alle corde e la sinistra si prepara ad andare al governo. Allora insegnavamo a Firenze, lui istituzioni di diritto pubblico, io diritto costituzionale. Per risparmiare avevamo in comune un appartamento in piazza Beccaria che ci subaffittava Roberto Zaccaria, allora assistente di Paolo Barile oggi cattedratico e consigliere di amministrazione della Rai. Partivamo in macchina da Roma insieme tutte le settimane. Un lunedì lo passo a prendere sotto casa e lo vedo scendere con una valigetta. La apre e mi mostra due volumi della Guida Monaci. Vedi Franco, dice, noi non dobbiamo commettere l’errore che fece Togliatti nel ’46 quando diede un colpo di spugna sulle responsabilità della burocrazia fascista creando così una continuità che si è mostrata deleteria per il regime democratico. E quindi dobbiamo compilare le liste di coloro che dovremo mandare subito in pensione appena la sinistra avrà preso il potere. Mi proponi delle liste di proscrizione? gli risposi scandalizzato. Chiamale come vuoi, replicò con freddezza. Il Giuliano di allora, oltre a essere l’intellettuale finissimo che conosciamo era una specie di Saint Just implacabile e marmoreo nelle sue certezze. L’elenco si apriva con i nomi di Franco Piga e di Vincenzo Milazzo, grand commis democristiani. Seguiva una sfilza di direttori generali, in testa Caponetto alto burocrate al ministero del Lavoro».
Poi arriva Craxi…
«Devo riconoscere che anch’io sono stato attirato dalle qualità di Bettino. Allora dirigevo l’ufficio legislativo del partito. Quando, siamo nel ’79, Pertini gli affida il primo incarico di formare il governo, Bettino mi dice: il governo non ce lo faranno fare, ma noi stiamo al gioco. Tu in tre giorni mi devi preparare un programma di governo. Mi raccomando: belle parole, molto fumo, sostanza poca. Quel programma fu preparato, piacque a Craxi che mi disse: se ce la facciamo tu naturalmente vieni con me a Palazzo Chigi a fare il sottosegretario. Gli risposi di no, gli spiegai che io ero per l’alternativa e mai avrei fatto parte di un governo con la Dc. Lui allora si arrabbiò: ma come fai a credere a quelle stupidaggini sull’alternativa che abbiamo detto per anni? Ricordati che i comunisti italiani sono agli ordini di Mosca. La rottura cominciò allora».
E Amato?
«Andò negli Stati Uniti, a Bethesda, a studiare presso l’American Enterprise Foundation, il laboratorio del reaganismo. Quando tornò scrisse un bellissimo libro sul Welfare americano. Ma si era già avvicinato a Craxi che dopo aver sbaragliato Claudio Signorile si era ormai impadronito del partito».
Mentre per lei cominciavano i guai…
«Nel 1981 Tristano Codignola io e altri venimmo cacciati dal Psi perché osammo denunciare il problema della corruzione nel partito».
Come si comportò Amato in quell’occasione?
«Non si fece vivo e ciò mi amareggiò molto. Poi, nell’estate del 1983, Craxi avviò le consultazioni per la formazione del primo governo a guida socialista, tentativo che questa volta riuscì. Come Sinistra Indipendente con Stefano Rodotà fummo ricevuti in una sala di Montecitorio dal presidente incaricato. Accanto a lui c’erano il capo della segreteria Gennaro Acquaviva e Amato, sottosegretario alla presidenza del Consiglio in pectore. Quando mi vide, Craxi mi disse ridendo: “Caro Franco, se tu non avessi fatto tutte quelle fesserie adesso saresti al suo posto”. E indicò Amato. Mi ricordo che pensai: ma io non avrei né le capacità né lo stomaco di Giuliano».
Amato le chiarì mai le ragioni vere della sua conversione?
«Una volta mi spiegò che Craxi era l’unico in grado di modernizzare il Paese. Non so se ci riuscirà, aggiunse, ma non abbiamo altra scelta. Craxi, concluse, è l’unica possibilità per dei riformisti come noi. Bisogna riconoscere che se la presidenza Craxi ha avuto una buona immagine lo ha dovuto in gran parte all’abilità del suo sottosegretario. Però quando tre anni fa Amato fu sbarcato dal governo, lo seppe dalla televisione. Bettino non si degnò neppure di avvertirlo».
Antonio Padellaro