Non c’è battaglia economica o crisi istituzionale che in Italia, presto o tardi, non susciti un’accorata invocazione alla stesura di nuove regole. E’ accaduto persino durante la contesa sull’ammissibilità dei voti a Franco Marini per la presidenza del Senato, che ha rispecchiato fedelmente quella sull’esito del voto popolare del 9 aprile. Le vicende economico-giudiziarie delle scalate bancarie ed editoriali del 2005 sono state scandite da questo ossessivo ritornello per oltre un anno: tutti i mali della Repubblica, al fondo, non sono altro che un problema di regole.
Al tema di cosa significhi seguire una regola Ludwig Wittgenstein ha dedicato buona parte della sua opera maggiore. Il punto di partenza delle Ricerche filosofiche è il linguaggio: capire come sia possibile che con il nostro linguaggio di tutti i giorni, in cui l’uso delle parole non è affatto rigidamente “regolamentato”, ciononostante noi ci intendiamo perfettamente. Ma il cuore del ragionamento, a nostro avviso, potrebbe essere riproposto tale e quale nella forma di un problema politico, in particolare nell’Italia di oggi.
In campo economico, il problema delle regole era stato sollevato assai prima degli scandali bancari del 2005. Per essere precisi, ben due anni prima che i vari Fiorani e Ricucci facessero la loro comparsa sulla scena, allo scoppiare degli scandali Cirio e Parmalat. Ma allora, quando cioè a perdere i loro risparmi erano soltanto migliaia di famiglie innocenti, Montezemolo e tanti altri fieri accusatori dell’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio non esitarono a schierarsi in sua difesa, contro ogni ipotesi di riforma delle regole (e delle competenze in capo alle diverse autorità).
Dopo la guerra senza quartiere combattuta (e vinta) senza esclusione di colpi dall’estate 2005 a oggi, guidata da quel direttore del Corriere della sera che meriterebbe di passare alla storia con il titolo di Paolo il Sanguinario, il dibattito si è nuovamente assopito. Regolati i conti con le persone – tutti coloro che avevano osato mettersi di traverso sulla strada di Montezemolo e alleati – il problema delle regole non è parso più così urgente.
Intorno a queste vicende è sorta in poco tempo un’intera letteratura, non priva di contributi significativi: da Poteri deboli di Giancarlo Galli a Guerra per banche di Lodovico Festa, passando per il più leggero Il lato debole dei poteri forti di Paolo Madron. Abbiamo citato di proposito solo autori di area liberal-conservatrice, più o meno vicini a Silvio Berlusconi e al suo gruppo. Non abbiamo citato i molti contributi che si possono iscrivere al gruppo De Benedetti – in un filone non secondario della letteratura economico-giudiziaria fiorita già attorno al caso Telecom – o direttamente ispirati da ambienti molto prossimi a Cesare Geronzi. Non lo abbiamo fatto per la semplice ragione che nulla aggiungono a quanto già si è potuto leggere nelle paginate di inchieste e intercettazioni, spesso prive di alcun rilievo penale, illecitamente pubblicate su tutti i grandi giornali. Una campagna scandalistica mirata a screditare i propri avversari, suscitare o sostenere un’azione penale esercitata in tempi e forme quanto meno sospetti, influire sull’andamento delle operazioni di mercato. Ma si sa che in Italia, per reati quali aggiotaggio o insider trading, finiscono in galera soltanto gli sconfitti, una volta che la loro sconfitta sia già maturata sul terreno del potere reale, come appunto Fiorani e Ricucci. Nel frattempo, fior di settimanali e trasmissioni televisive che hanno nomea di essere gli ultimi baluardi del giornalismo di inchiesta possono continuare a sfornare a comando le loro vibranti denunce, indirizzate sistematicamente contro i concorrenti delle ben note quattro o cinque decadenti famiglie del nostro indebitato e proprio per questo sempre più feroce capitalismo.
Dinanzi a un così triste spettacolo, la linea degli economisti di area liberal-conservatrice estranei all’establishment montezemoliano consiste sostanzialmente in un appello alla politica – più o meno esplicito a seconda dei casi – affinché provveda alla riscrittura di regole uguali per tutti, nell’esclusivo interesse del paese.
Ma non è per via di una carente regolamentazione che il reato di aggiotaggio informativo in Italia vale solo per Ricucci. Quanti grandi giornali dovrebbero essere chiusi dall’autorità giudiziaria, se solo le norme vigenti venissero applicate per tutti con altrettanto scrupolo? Non è un problema di regole all’origine del “sistema Fiorani”, che tanti autorevoli quotidiani ci hanno raccontato scandalizzati, spiegando come questo spregiudicato banchiere – pensate un po’ – rapinasse i suoi correntisti addebitando loro piccolissime cifre per spese di manutenzione inesistenti, sotto voci incomprensibili (ognuno prenda il suo estratto conto e ci dica onestamente se chiamarlo “sistema Fiorani” non è quanto meno una palese violazione di copyright). E non è un problema di regole, infine, nemmeno se all’indomani del voto e ancora durante l’elezione dei presidenti delle Camere si è rischiato più volte un drammatico stallo, nello scontro furioso tra maggioranza e opposizione.
“In che modo si delimita il concetto di gioco? – scriveva Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche – Che cos’è ancora un gioco e che cosa non lo è più? Puoi indicare i confini? No. Puoi tracciarne qualcuno, perché non ce ne sono di già tracciati”. Se nella vita di tutti i giorni bene o male le leggi funzionano, non è perché esse siano perfettamente aderenti a tutti i possibili casi concreti, senza lasciare alcun margine di discrezionalità nella loro interpretazione. Allo stesso modo, se con il nostro linguaggio di tutti i giorni ci intendiamo, non è perché i confini del significato di ogni nostra parola siano perfettamente definiti, ma perché il linguaggio (e così la legge) non è una costruzione astratta e autosufficiente, nata in un qualche laboratorio grammaticale o nell’iperuranio delle idee platoniche; bensì una costruzione umana, storicamente determinata, che ha nelle concrete forme dell’interazione sociale tra gli individui i suoi autentici riferimenti.
In Italia, in questo senso, non c’è un problema di regole. A determinare e a rendere possibile il funzionamento di un sistema di regole, direbbe Wittgenstein, è la “forma di vita” della comunità. Non è solo questione di persone e di rapporti di forza, né solo questione di regole (è anche tutte e tre le cose insieme, ma non solo).
Questo è il motivo per cui siamo convinti che oggi occorra aprire una nuova stagione costituente. Perché solo il fatto politico di una riscrittura condivisa del patto costituzionale, solennemente sottoscritta da tutte le forze autenticamente rappresentative del paese, potrà offrire la base di nuove regole. Quello strato di roccia cui il filosofo arriva quando ha esaurito la serie delle interpretazioni e delle spiegazioni, laddove la sua vanga si piega – che è poi il solo modo, in democrazia, di tracciare un confine e farlo rispettare.