H2Odio

Alex Infascelli è un giovane e promettente regista italiano. Con la sua opera prima, “Almost Blue”, ha portato sullo schermo un romanzo di Carlo Lucarelli ambientandolo in una Bologna lisergica. Con “Il siero della vanità” si è cimentato in un cinico e graffiante ritratto del mondo della televisione. Non certo il Muccino di “Ricordati di me”, visto che Infascelli sembra fare di tutto per non accattivarsi il pubblico. Ama le immagini sporche, i suoni stridenti e le inquadrature fuori fuoco. Per questo, forse, molti spettatori hanno disertato le sale all’uscita de “Il siero della vanità”. Lasciando i soli critici a incensare il lavoro del regista, stilisticamente sempre più vicino al “reietto” Salvatores di “Denti”. Infascelli non si è perso d’animo e ha continuato a seguire le sue visioni. Per il suo ultimo lavoro – dall’inequivocabile titolo “H2Odio” – ha scelto un sistema di distribuzione quantomeno singolare. Niente sala cinematografica: il nuovo film del regista romano è uscito direttamente in Dvd. In edicola in questi giorni, con il patrocinio del Gruppo Editoriale L’Espresso. L’obiettivo dichiarato della neonata società “52” è quello di rivoluzionare gli schemi della distribuzione tradizionale, e “H2Odio” ne è l’apripista. Rimane il dubbio, però, che questa non sia altro che una controffensiva, un violento atto d’accusa – nei fatti – al “sistema-cinema” italiano. Non è un caso che il testo dell’articolo 52 del codice penale (riportato sul sito www.52film.it) reciti: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionale all’offesa”. Come a voler sostenere che la distribuzione e i cinema hanno troppo a lungo danneggiato interessanti prodotti italiani in un ottica di massimizzazione dei profitti. I nuovi canali ci sono e un certo cinema italiano ha deciso di sfruttarli fino in fondo. Sperimentale a ogni livello.
In tutto questo la qualità di “H2Odio” sembra quasi passare in secondo piano, eppure il film è buono. Ci sono passaggi a vuoto e ogni tanto emergono con troppa prepotenza i vezzi stilistici e visivi di Infascelli: in certi punti sembra di guardare spezzoni di un video di Marilyn Manson. Però funziona. Il regista ha il grande merito di evitare la strada più facile, quella che chi si è cimentato con il thriller/horror ha seguito negli ultimi anni. Infascelli non vuole stupire nessuno, non gioca al gatto e il topo con lo spettatore. Non lo sfida a chi è più furbo e “H2Odio” si avvantaggia di questa linearità.
Cinque ragazze decidono di trascorrere una settimana di digiuno purificatore e scelgono di fuggire le tentazioni isolandosi in una casa in mezzo a un lago. Non saranno sette giorni semplici, soprattutto per quelle che non sono motivate come la padrona di casa, Olivia, che torna dopo anni nei luoghi della sua infanzia e si ritrova ad affrontare ricordi dolorosi e irrisolti. “H2Odio” parte da questa convivenza forzata fra ragazze di cui a stento conosciamo le motivazioni e intuiamo i legami. Nulla ci viene detto del “prima”: tutto quello che non è funzionale al racconto è messo da parte, con un lavoro di sottrazione narrativa che non disperde il fuoco della storia. Il “di più” è esclusivamente visivo, vero e proprio marchio di fabbrica di Infascelli. A volte lezioso come un videoclip a volte affascinante nel suo costruire le sequenze delle inquadrature.
La trama e le immagini evocano il cinema italiano di genere, quello che negli anni settanta ha cambiato per sempre il modo di raccontare certe storie. Una volta tolte le sovrastrutture moderne di effetti e distorsioni quello che rimane è una fotografia che evoca Sergio Martino e Lucio Fulci. La trama stessa di “H2Odio” richiama il cinema di quegli anni e crediamo che neanche questo sia un caso. Quella generazione di registi, nel solco aperto da Mario Bava, segnò una stagione di rottura e di eccellenza per il cinema di genere. E “H2Odio”, pur con i suoi difetti, è un bell’esempio di cinema italiano moderno nel suo strizzare l’occhio al passato.