Leggevo in settimana gli articoli di Angelo Panebianco prima, e di Pierluigi Battista poi, pubblicati dal Corriere della sera, su quello che i due editorialisti ritengono essere un inspiegabile e occulto ostracismo praticato dai Ds verso Giuliano Amato. Forse sono influenzato da questa moda dei giornali di mischiare, come si dice, alto e basso, o forse è semplicemente la mia segreta indole da portinaia, ma più proseguivo nella lettura più l’immagine del dottor sottile trascolorava nella mia mente, e veniva sostituita da quella di Martina Stella.
Martina Stella è, lo ricorderete, l’attrice fiorentina che per qualche tempo si è accompagnata a Lapo Elkann. Per l’esattezza, fino al giorno in cui, mentre il giovane erede Agnelli era in coma per overdose, fece sapere a mezzo stampa che la loro relazione era finita da tempo a causa di “stili di vita diversi”. In poche righe di comunicato Martina Stella trasformò in regine dell’integrità sentimentale altre donne, come Valeria Marini o recentemente Anna Falchi, dotate di un minimo di dignità, buon gusto e pudore.
Ma che c’entra una giovane attrice bionda con uno dei cervelli più fini, a dire di molti, del panorama politico? La risposta è semplice. Anche Amato ha avuto, per lungo tempo, in Bettino Craxi il suo Lapo; anche Amato, come Martina Stella, si è sganciato dal suo compagno quando questi si trovava in guai seri, adducendo analoghe questioni di stile (è assai importante lo stile, per l’elegante professore prestato alla politica). Diversamente dalla sua bionda omologa, che le cronache degli ultimi mesi raccontano preda di malumori e stanchezze, al professor Amato l’abbandono del grande amore è riuscito piuttosto bene. Ha rapidamente trovato altri appigli per mantenere, ci si passi l’espressione, un elevato tenore di vita politica, a tratti anche migliore del precedente. Facendo suo il motto: piacere ai pochi, ma non dispiacere ai molti, è stato spesso un perfetto candidato per incarichi di prestigio ma abbastanza defilati (il Partito del socialismo europeo, la Convenzione europea, l’Antitrust), nonché un premier di servizio in grado di non turbare fragili equilibri.
Deve essere per questa ragione che alcuni hanno visto in lui, per il Quirinale, quel candidato dal profilo istituzionale capace di aggregare un largo consenso. Si tratta del famoso metodo Ciampi, nel citare il quale si tende a dimenticare l’importanza di avercela, una personalità come Ciampi.
Al termine di una campagna elettorale serrata e rissosa, nella quale è stato ben attento a non proferire verbo – a non urtare, nemmeno per sbaglio, alcun ostacolo – Amato riteneva forse di poter essere elevato al Colle più dalla leggerezza della propria bolla di silenzio che grazie al peso della propria personalità politica. Così non è stato. Panebianco deplora che il veto nei confronti di Amato sia rimasto sottotraccia, e Battista lamenta nei confronti del dottor sottile un astio tribale, legato alle origini socialiste del professore. Può anche essere, ma è bene ricordare che è stato lo stesso Amato a non volere mai la tessera dei Ds, considerata forse d’ostacolo a più alte ambizioni. E’ uno strano paese il nostro, in cui per aspirare ai più prestigiosi incarichi (e ottenerli) bisogna simulare un alato disinteresse, e accettare dando l’idea di accollarsi un peso insostenibile, ma poi ci si dispiace molto se questo sacrificio non viene richiesto, e se a non-candidature seguono non-elezioni.
Giuliano Amato ha sufficiente uso di mondo per fare buon viso all’eventuale cattivo gioco, ma se si guarda intorno capirà che non ha motivi per lamentarsi. Tra i vari profughi della diaspora socialista, lui ha avuto decisamente il destino migliore. Quanto ai comportamenti personali, quando sono pubblici – e quindi politici – finiscono nel curriculum. Se hai dimostrato col tuo primo amore di essere un anaffettivo, e per di più fai il ritroso col nuovo compagno, puoi farti bello finché vuoi, ma è difficile che tu ottenga un invito al gran ballo. Mica ce l’hai solo te.