Ripubblichiamo qui l’intervista rilasciata da Diego Della Valle ad Alberto Statera, uscita su Repubblica del 9 agosto 2005, nel pieno delle polemiche sulle scalate ad Antonveneta, Banca nazionale del lavoro e Rizzoli-Corriere della sera (il titolo originale era: “Il patto del Corriere è saldo, su Bankitalia parli Ciampi”)
ROMA – Diego Della Valle, il più ostico avversario dei “furbetti del quartierino” che stanno mettendo a ferro e fuoco il capitalismo italiano, rientra in Italia da un viaggio di lavoro in America proprio nel giorno in cui Ubaldo Livolsi, il banchiere di Berlusconi, annuncia la scalata alla Rcs-Corriere della Sera in cordata con Stefano Ricucci, che già ne possiede più del 20 per cento. Dire che accoglie la notizia con mestizia è un eufemismo, perché ha ancora nelle orecchie i giudizi della business community sulle temperie finanziarie del nostro paese, che riferisce con sconforto: «La nostra reputazione negli Stati Uniti è ormai un disastro. Non capiscono che cosa stia accadendo, pensano al caso Parmalat. Loro, capitalisti veri, faticano a capire che in questo caso è addirittura il regolatore che tradisce le regole del sistema capitalistico. Sconsigliano comunque di investire in Italia».
Della Valle, i “furbetti del quartierino” l’hanno soprannominata “il maestrino”. Allora ci spieghi: dopo tutto quel che è successo sulle banche, Livolsi ha annunciato la scalata in cordata con Ricucci alla Rcs, ma precisando che se il patto di sindacato manterrà il 58 per cento tutto finirà in nulla. Che senso ha?
«Da maestrino posso dire che l’uscita è di scarso valore, non merita neanche un voto. A parte il fatto che le regole vogliono che quando uno compra azioni non ne parli e che se uno parla di Opa per mesi rivela la debolezza del progetto, qui è evidente che Livolsi predispone un salvavita Beghelli legato al titolo».
Un che? Un salvavita?
«Certo, è evidente che appena il titolo Rcs va sotto un certo prezzo si ricomincia con le chiacchiere sul Corriere, perché se scende qualcuno si rovina. Devono tenere caldo il titolo, se no sono guai per qualcuno. Mi pare che oggi, dopo l’intervista di Livolsi, sia salito del 4 per cento».
Aggiotaggio?
«La Consob deve verificare».
Livolsi dice pressapoco che i pattisti e i manager Rcs sono una banda d’incapaci, non hanno progetti validi e pensano al Corriere solo come strumento di pressione.
«Il patto Rcs è ben saldo. Il Corriere ha un ottimo piano, ottimi manager e i consiglieri difendono egregiamente le loro strategie e i loro interessi».
Insomma, lei dice che Ricucci rischia la rovina se gli si svaluta la partecipazione alla Rcs e allora Livolsi se ne esce ancora con la storia dell’Opa per tenere su la quotazione?
«Non voglio parlare più di quel ragazzotto presuntuoso. Il problema non è lui, lui non mi interessa, il problema sono i suoi pupari, che si chiamano Fiorani, Gnutti e Consorte, autori di un impressionante e pericoloso disegno autoreferente».
Quel ragazzotto dice di valere 2,6 miliardi di euro, contro i miseri 1,2 di Diego Della Valle e fratello.
«Le ripeto che non rispondo a un ragazzo la cui cifra è rivelata dall’alluvione di interviste cui ci ha sottoposti, evito polemiche da parrucchiere. A parte la valutazione del mio patrimonio, che non sta né in cielo né in terra, si occupi del patrimonio suo, che ne ha bisogno. Il ragazzo, poverino, si fa male da solo, è un caso psicanalitico».
Forse il ragazzo dei Castelli romani si è fatto il film del campione del nuovo capitalismo che viene dalla campagna, vessato dai cascami del vecchio.
«Guardi che io vivo in paese, a Casetta d’Ete, vengo veramente dalla gavetta, nessuno mi può definire il vecchio che si oppone al nuovo, io le cose le ho sudate, facendo i conti di aziende che producono e funzionano. Ho lavorato con Cuccia, Maranghi e Romiti, gente che non scherza. Non con due o tre pupari, che si muovono come magliari con avalli politici a destra e a sinistra. Smettiamola con la storia dei salotti buoni, si tratta di altro. Di una caduta a picco del prestigio del paese per la difesa in modo trasversale di interessi di parte, nell’assenza della politica».
Non sarà invece che c’è troppa presenza della politica?
«La politica è intervenuta con frasi di circostanza e alle volte in modo trasversale per difendere interessi di parte, mentre dovrebbe intervenire per far rispettare le regole. Ho visto solo qualche intervento ragionevole: Rutelli, Bassanini, Prodi, Mastella».
Fassino, D’Alema?
«Fassino sbaglia se dice: questi nuovi sono per noi come gli altri. Qui non si tratta di vecchio e nuovo, qui si confonde tra chi ha messo su fabbriche sudate, che produce, con chi non si sa da dove arriva, da dove ha attinto i capitali».
Che dovrebbe fare la politica?
«Per esempio, cessare la difesa a oltranza del governatore della Banca d’Italia. Non si può dire: è agosto, rimandiamo, il prestigio nazionale non si rimanda, finisce di bruciarsi giorno per giorno».
Fazio andrebbe rimosso subito, prima della definizione del mandato a termine?
«Non direi più di Fazio che è lo stregone di Alvito. Il fatto è che è ormai un uomo totalmente privo di lucidità. Me ne rendo conto adesso e penso che avrebbe bisogno di essere sostenuto dalla parte buona della sua famiglia per toglierlo dalle mani di qualche personaggio spregiudicato che lo strumentalizza».
La politica non fa il suo dovere, l’autorità regolatrice non fa rispettare le regole. A chi tocca farlo?
«La magistratura merita un applauso, perché sta facendo il suo dovere. Per fortuna c’è, e il fatto che indaghi da tutte le parti è la riprova della sua indipendenza, della sua distanza dalla politica. Forse ci aiuterà a capire cos’è la banca di Lodi e perché i consiglieri hanno avallato certe cose. Se erano fuori legge ne dovranno rispondere. Ma la magistratura non basta a ricostituire la credibilità nazionale».
Che serve?
«Serve un intervento forte del Capo dello Stato per ridare fiducia agli italiani e ricostituire il prestigio nazionale all’estero. Ciampi è l’unica persona che per autorevolezza e per l’affetto che per lui hanno cinquanta milioni di italiani, ci può tirar fuori da questa situazione. Credo che tutti gli italiani abbiano bisogno di sentirlo, di fronte al degrado etico e morale che è emerso dalle intercettazioni telefoniche pubblicate dai giornali. Non so se quelle parole pronunciate di notte tra regolatori e regolati abbiano valore legale, non mi interessa, ma ne hanno di etico. E su questo Ciampi deve farsi sentire». ■
Alberto Statera