I gruppi unitari dell’Ulivo di Camera e Senato, promessi durante tutta la campagna elettorale, sono stati dunque creati. E’ un fatto rilevante per la politica italiana, a cui però forse non si sta rivolgendo la dovuta attenzione e su cui gli stessi partiti che li hanno costituiti, i Ds e la Margherita, non hanno sviluppato una riflessione approfondita.
Si dice che una tale soluzione è fondamentale in vista della costruzione del nuovo partito democratico. Che i Gruppi dell’Ulivo devono essere la forte base parlamentare per dare stabilità al governo e caratterizzarne il profilo riformista. Al di là di queste affermazione generali non pare però che né la discussione che ne ha accompagnato la nascita, né i loro primi atti abbiano sostenuto un ruolo così decisivo.
La novità ha sicuramente un carattere storico. Dopo sessanta anni di vita repubblicana, per la prima volta in parlamento non c’è un gruppo legato alla vicenda del Pci-Pds–Ds. L’esperienza dei Progressisti fra il ’94 e il ’96 era nella sostanza la riproposizione del vecchio gruppo con alcuni nuovi alleati che si preparavano a far parte della Cosa 2 e altri poi rimasti autonomi, ma comunque piccoli partiti come i Verdi e la Rete. Così come per la prima volta non c’è un gruppo espressione di quella parte degli eredi della Dc dal ’94 alleati del centrosinistra.
Saltano quindi i vecchi gruppi mentre i partiti di riferimento proseguono nella loro attività, con una comune strategia che punta alla creazione di un nuovo partito, ma spesso in competizione per la sua definizione identitaria e programmatica, oltre che per la sua guida. Ci sono dei rischi legati a questa fase di transizione complessa, in cui a fatica si vedono emergere gli sforzi sul primo aspetto (identità/programma) e più facilmente emergono i conflitti legati al secondo (la guida).
Ha scritto Alfredo Reichlin sull’ultimo numero di Italianieuropei: “Non riesco a capire come si possa separare la costruzione di un nuovo partito riformista dal fatto che assistiamo all’affermarsi di una sorta di partitocrazia senza partiti, cioè senza popolo ma con un ruolo crescente degli eletti, del potere personale, del presidenzialismo. I quali eletti (non tutti in verità) si servono di una nuova burocrazia di assistenti e funzionari che, a differenza dei tanto disprezzati funzionari di partito di una volta, non organizzano movimenti sociali né rappresentano una base di militanti”.
Se riportata all’esperienza dei nuovi gruppi, questa riflessione mostra nello stesso tempo un nuovo rischio e una grande potenzialità. Il rischio è chiaramente delineato: “l’emergere di una nuova burocrazia senza alcun contatto con i movimenti sociali e neanche rappresentativi di una base di militanti”. La potenzialità, purtroppo già indebolita pesantemente dall’improvvisazione che ha segnato l’avvio di questa legislatura, sta invece nella possibilità che attraverso il lavoro parlamentare si riesca a rendere le decisioni del governo partecipate e condivise da tutte quelle forze che guardano con attenzione alla formazione del nuovo partito o alle quali comunque il nuovo partito si deve riferire. Se si riuscirà a portare avanti questo processo allora i nuovi gruppi saranno realmente un fattore di traino. Ma si potrebbe anche ricreare fra partiti e gruppi quella stessa differenza che si è vista fra il voto per la Camera e quello per il Senato. Ulivo più forte dei partiti, cioè i partiti che da una parte danno impulso a un’idea in grado di vincere e affermarsi e dall’altra la frenano.
Meglio sarebbe allora se i dirigenti dei due partiti dedicassero più tempo e più risorse intellettuali alla definizione del carattere di questa operazione, ai nessi fra la creazione dei gruppi e il processo di fondazione del nuovo partito. Finora si è visto poco. I primi incerti passi sembrano più quelli di un convalescente di lunga degenza che di un bambino destinato a crescere e a irrobustirsi. Deputati e senatori sono stati convocati solo per ricevere i nomi da votare nei diversi appuntamenti istituzionali e il dibattito che ha accompagnato le relazioni è stato scarso o inesistente. Anche le decisioni più importanti sull’assetto dei gruppi hanno seguito solo criteri di divisione aritmetica delle cariche. Non tutto si può giustificare con la difficoltà di gestire una forte trasformazione in un ingorgo di scadenze inderogabili. E i segnali di un recupero ancora non si vedono.