Assuefazione o vocazione alla sconfitta. Fatto sta che a Milano il centrosinistra perde nettamente le elezioni amministrative: calano i votanti rispetto alle politiche ma aumenta lo scarto di voti tra le due coalizioni a favore del centrodestra. Esiste una chiave di lettura della sconfitta?
Riepiloghiamo.
Il centrosinistra parte in vantaggio nei sondaggi e negli umori della città. Le primarie sono un successo. Il candidato Ferrante sembra rassicurare i moderati e persino alcuni ambienti di destra, commercianti e tutori dell’ordine pubblico in testa. Letizia Moratti arranca ma si predispone alla battaglia scegliendo una strategia pericolosa e ambiziosa: aprire ai riformisti e segnare la discontinuità con la giunta uscente.
Dopo le primarie, nel centrosinistra si avverte l’assenza di una strategia comune e si dà vita al solito tavolo programmatico dell’Unione, dove la sinistra massimalista capeggiata da Dario Fo mena fendenti sui giornali contro le posizioni più distintamente riformiste su sviluppo, territorio e mobilità. Ferrante scivola sugli incidenti di corso Buenos Aires abbracciando la litania sociologica del bisognava prevenire anziché invocare punizioni esemplari e chiusura dei centri sociali conniventi.
La campagna delle politiche aggrava la situazione: tasse, ici e rendita sono a Milano uno straordinario ricostituente per il centrodestra. Gira il vento e la nave della Cdl riprende a navigare bene.
A quel punto due opzioni politiche si delineano tra le stesse forze del campo riformista: correzione di rotta rispetto al centrosinistra nazionale, questione settentrionale, infrastrutture e sviluppo da un lato; riportare tutti gli elettori dell’Unione al voto, confidando nel calo dei votanti tra politiche e amministrative, dall’altro. Ferrante e i suoi consiglieri scelgono la seconda strada. E così fino alla fine, tra le polemiche del 25 aprile e del 1 maggio, l’accusa alla padrona, le chiamate alle armi contro il nemico. Un pezzo di elettorato si ritrae. Sconcertato, visto il profilo del candidato, già prefetto di Milano e vice capo della Polizia di Stato. Legalità e sicurezza ridimensionate a fenomeni sociali, il rapporto con i ceti avanzati dell’impresa e delle professioni relegati sullo sfondo di una campagna incentrata sull’idea di una Milano seduta, spenta e offuscata che attende il demiurgo pubblico per ripartire. Far ripartire Milano, appunto, lo slogan della lista dell’Ulivo.
Milano però non si è mai seduta, ha continuato a mietere successi in campo economico, digerisce la trasformazione e inventa nuovi mestieri. Non manca la materia per una moderna sinistra liberale e socialista, visto che i nuovi mestieri attendono rappresentanza, mercato aperto, concorrenza, talenti e meriti riconosciuti, solidarietà e coesione, contaminazione culturale e apertura al mondo. Ma non c’è questo nel messaggio del centrosinistra: c’è Letizia Moratti, il nemico degli insegnanti pubblici italiani (la Rete scuola), in quella che è anche la capitale delle scuole private di alto livello. C’è la parola vergogna perché partecipa, la Moratti, alle celebrazioni della piazza rumoreggiante e massimalista che la contesta. Sempre lei al centro della campagna. Riportare “i nostri” a votare contro la Moratti, senza sconti. Muro contro muro. Ma il muro del centrodestra a Milano è più alto, a far data dal 1993.