In Danimarca – la notizia viene data così – single e lesbiche potranno usufruire gratuitamente dell’assistenza pubblica per procedere all’inseminazione artificiale e avere, così, dei figli. E lo scontro di civiltà si inasprisce. Prima una parola sulla notizia: potrebbe mai saltare in testa a qualcuno di consentire l’inseminazione artificiale in strutture pubbliche esclusivamente a donne sole che però non siano lesbiche? E come si farebbe, con un questionario sui gusti sessuali della richiedente? O forse quella pseudo-endiadi, “donne sole e lesbiche”, significa: anche se vivete in coppia, sempre come donne sole vi consideriamo?
Poi, più lungamente, il commento. Sul Corriere di sabato, Lucetta Scaraffia (Lucetta Scaraffia, sul Corriere) proponeva il seguente, raffinato ragionamento: in Occidente osiamo sostenere, illuminati e responsabili quali siamo, che nessuno vuole lo scontro di civiltà. Che lo scontro di civiltà va evitato. Ora però, si sa che la civiltà islamica non riconosce alla donna lo stesso ruolo che la donna si vede riconosciuta in Occidente. Se dunque l’Occidente, e segnatamente l’Italia, si dota di una legge sui Pacs, oppure consente l’introduzione della pillola abortiva, e magari interviene “in senso libertario” sulla legge 40, il fossato tra la nostra civiltà e quella islamica si allargherà, le occasioni di dialogo diminuiranno, e sarà più difficile, per gli islamici moderati, additare il modello europeo per chiedere nei loro paesi riforme “che garantiscano dignità e uguaglianza delle donne nelle loro società”. Dunque, a meno di non voler soffiare sul fuoco dello scontro di civiltà, è meglio coltivare un po’ di sano realismo: meglio non insistere, meglio non fondare la libertà femminile sulla libertà in materia sessuale e procreativa, meglio lasciar perdere in Occidente simili controverse questioni e rivendicare invece di là, nei paesi islamici, quei diritti elementari che le donne non si vedono ancora garantiti.
Mi scuso per la volgarità, che forse inasprirà ulteriormente lo scontro, ma il ragionamento di Lucetta Scaraffia si riduce grosso modo a qualcosa del genere: non diamo ai maschi islamici la scusa per chiamare puttane le loro donne, qualora volessero somigliare a quelle femmine perdute che vivono in Occidente.
Nel concludere il suo pezzo Lucetta Scaraffia non si fa mancare la lezione da impartire ai politici: forse, ma è solo un’ipotesi, la presenza della lezione è la ragione per cui il Corriere pubblica il pezzo in bella evidenza, nella colonna delle idee del sabato, lasciandoci comunque nella speranza che nel resto della settimana le idee del Corriere siano altre. La lezione, dicevo: “Come al solito, la politica sembra muoversi seguendo confuse ideologie, e non sulla base di un’osservazione lucida della realtà”. Sui punti controversi che cita, Lucetta Scaraffia non difende dunque certe idee o valori come un’ideologa qualunque. No, preferisce piuttosto passare per una specie di Kissinger della morale, preferisce la lucidità (così dice), e invece di opporsi francamente alla traduzione di certe rivendicate libertà in diritti, si affida ad una sorta di appeasement culturale con il mondo islamico: non facciamo vedere che l’Occidente è Babilonia.
Lucetta Scaraffia non spiega ovviamente in che modo una legge sui Pacs ritarderebbe una battaglia in difesa dei diritti elementari delle donne islamiche. Non ci dice ovviamente fin dove questa sensibilità e questo tatto per i pregiudizi culturali del mondo islamico dovrebbe spingersi. Per esempio: visto che le donne islamiche portano il velo, e tenuto realisticamente conto dell’impossibilità di imporre il velo alle donne occidentali, perché non imporre almeno il maglione a collo alto, o comunque vietare la scollatura, in modo da venire incontro alla cultura musulmana? Non sarebbe questo un modo per gettare ponti tra le civiltà?
Lucetta Scaraffia ha poi un punto che le sta a cuore: non si può fondare la libertà femminile sulla sempre più netta separazione fra sessualità e procreazione. Io in verità ho il sospetto che quella separazione un aiutino alla libertà femminile lo abbia dato e lo dia, ma voglio crederle, se non altro per non dovermi impegnare su questioni di fondamento. Però Lucetta Scaraffia non mi spiega perché la libertà femminile sarebbe diminuita o mortificata da quella separazione, non mi spiega perché, senza essere il fondamento della libertà, quella libertà non sarebbe comunque libertà, né mi spiega perché quella libertà non debba essere considerata una conquista, e neanche perché quella libertà debba essere immediatamente intesa come un uso e un abuso della sessualità, quasi che solo la ventura di rimanere incinta possa trattenere le donne (gli uomini no) sulla retta via.
Ma soprattutto, Lucetta Scaraffia non mi spiega (ci penserà il prossimo sabato) perché, se la libertà in materia sessuale e procreativa non è questa gran cosa e non è fondamentale, noi dovremmo fare il sacrificio di comprimerla, per tenerci buoni i nostri amici islamici. In fondo, gli si potrà pur sempre dire come dice la Scaraffia: che non è fondamentale, che i diritti fondamentali sono altri, che dunque non se la prendessero tanto, se qui in Occidente ce la spassiamo un po’.