Nel poco tempo libero lasciatogli dalla sua intensa attività di scrittore e organizzatore di eventi, il sindaco di Roma ha trovato modo di intervenire nel dibattito sull’erigendo partito democratico che si svolge in questi giorni sulle pagine di Repubblica, fornendoci un saggio del lirismo che ha reso celebre l’autore di Senza Patricio, Forse Dio è malato e del recente La scoperta dell’alba.
Con un romanzo in uscita – sia pure stampato in corpo venti, e con margini che nemmeno un Adelphi – quelle appena trascorse sono state due settimane certamente faticose per lo scrittore Veltroni, e forse anche per il sindaco. Prima la copertina del Venerdì di Repubblica, mercoledì estratti del romanzo su Grazia e sul Corriere della sera, quindi un articolo per Vanity Fair su Robert Kennedy (“Perché ci manca Bobby”, complice la proiezione a Venezia di un film che lo commemora). Infine, giovedì, la scalata ai femminili proseguiva con un’intervista ad A in cui Maria Latella celebrava la “malinconia produttiva” del sindaco-scrittore, e sabato, appunto – ma stiamo certamente dimenticando qualcosa – la riflessione sul partito democratico per Repubblica. Riflessione che ci offre una sintesi della weltanschauung veltroniana di rara perfezione formale.
Quel che salta immediatamente all’occhio del lettore, nella piccola lezione di storia della sinistra scritta da Veltroni, non è tanto l’assenza di qualsiasi riferimento al comunismo – è noto infatti che da giovane Walter si iscrisse al Pci in quota anticomunista; e non è forse vero che anche Mosè fu educato dal Faraone, e Moana Pozzi dalle suore? – ciò che si nota, dicevamo, è l’assenza di qualsivoglia riferimento storico alla sinistra italiana tout court, segno di una mente politica abituata a pensarsi su scala planetaria, cui l’agone nazionale va inevitabilmente stretto. I numi tutelari evocati da Veltroni per il partito democratico sono infatti Roosevelt, Kennedy, Willy Brandt, Olof Palme e Bill Clinton, protetti dalla saggezza di Tahar Ben Jelloun, posto a sigillo della profezia. Le anime di cui si auspica la sintesi sono quelle della sinistra democratica e liberale, del personalismo cristiano, del comunitarismo e dell’ambientalismo, fino a “una parte di quella critica radicale della società che non è più ideologica e che si può ritrovare in un contenitore ampio e aperto”. Insomma, solo una grande chiesa, che va da Che Guevara a Madre Teresa – come direbbe Jovanotti (rimasto inspiegabilmente fuori dal Pantheon).
Non bisogna avere paura, ci esorta Veltroni, o si fa la fine dell’angelo di Paul Klee, che sa procedere solo volgendo lo sguardo all’indietro (ma perché a noialtri, al liceo, hanno impedito di esprimerci?). Occorre guardare avanti, verso il futuro, come faceva Walter già dieci anni fa, quando sosteneva che “il centrosinistra è la nuova sinistra del duemila”.
E’ stato lì che abbiamo capito chi ci ricorda il sindaco di Roma. Erano anche per noi gli anni Novanta, ed eravamo giovani e sportivi, e sognavamo la gloria, la prosperità, la pace, gli investimenti nell’alta tecnologia e tutto quello che c’è di buono al mondo, come i Kennedy, ma c’era tra noi un vecchio compagno di squadra, uno che aveva esperienza, che la sapeva più lunga e che guardava al futuro. Spesso dopo le partite di rugby, sotto le docce, arringava i presenti: “Ricordatevi sempre – diceva – che il culo è la figa del duemila”.