Avremmo voluto limitarci qui a sottoscrivere, parola per parola, l’articolo firmato domenica sul Sole 24 Ore da Stefano Folli, a proposito del decreto varato nei giorni scorsi dal governo sulle intercettazioni illegali. Se non lo facciamo non è perché nel frattempo sia mutato il nostro giudizio, largamente positivo, sul passo avanti compiuto da tutte le principali forze politiche, dinanzi a quella che consideriamo un’autentica malattia della democrazia italiana. Ma perché al passo avanti compiuto dal governo, affrontando subito e con decisione il problema – e al passo avanti, forse ancora più importante, costituito dall’accordo bipartisan su una questione che tocca il cuore della democrazia e dello stato di diritto – ne è seguito purtroppo uno indietro.
Il passo indietro più grave, sia chiaro, non è certo quello rappresentato dalle tardive obiezioni di Antonio Di Pietro. Figurarsi se l’ex pm prestato alla politica poteva non raccogliere le critiche provenienti dalle procure a proposito dell’obbligo di distruggere immediatamente il contenuto delle intercettazioni abusive. La dura risposta datagli da Prodi chiude magnificamente il discorso: lo stesso Di Pietro aveva letto e approvato il decreto in Consiglio dei ministri, dunque non c’è ragione di riaprire la discussione.
Il passo indietro più grave, però, a nostro avviso lo ha compiuto proprio il governo. Lo ha compiuto nel momento stesso in cui, dopo avere previsto nel decreto sanzioni efficaci e norme precise per impedire che il mercato delle intercettazioni illegali prosperi ulteriormente, nulla o pressoché nulla stabiliva per fermare il mercato dell’illegale pubblicazione delle intercettazioni legalmente effettuate. Figurarsi poi se potevamo addirittura pretendere norme più severe e stringenti per la pubblicazione di intercettazioni e verbali d’interrogatorio consentita dalle norme vigenti. Magari cominciando con un semplice comma da aggiungere dal lato delle sanzioni: multe, salate, agli editori. Perché è ovvio che fino a quando non si renderà economicamente non conveniente la loro pubblicazione, il commercio delle intercettazioni legalmente effettuate, spesso illegalmente pubblicate (e sempre, comunque, frutto di una evidente manipolazione all’atto stesso della loro selezione, trascrizione e pubblicazione) continuerà a prosperare, in una ragnatela di ricatti e pressioni indebite dalla quale non usciremo mai.
Lo scandalo Telecom potrebbe essere l’occasione per un serio dibattito pubblico, in parlamento e nel paese, sul male che da anni corrode la politica italiana. Un dibattito non meno alto e grave di quello giustamente auspicato dal presidente della Repubblica, in merito al diritto di un cittadino di decidere la propria morte. Sperando che nel caso delle intercettazioni – e cioè del perverso intreccio di interessi tra organi di informazione, poteri economici e apparati dello Stato – la politica non abbia già deciso di rassegnarsi, di fatto, alla propria eutanasia.