L’ Italia è un paese anormale. C’è una quota di economia sommersa e illegale, che sfugge a qualsiasi indagine, statistica o fiscale, che ha dimensioni enormi. C’è una macchina statale inefficiente e insieme costosa e ridondante, tanto che la forte distanza tra l’amministrazione e il cittadino non accenna a diminuire, né al Nord né al Sud. C’è, infine, un peso delle organizzazioni sindacali delle categorie economiche tradizionali fortemente superiore ai rapporti di forza nella società. C’è anche un problema di riequilibrio del benessere in favore di ceti deboli, che non sono i lavoratori dipendenti ma i pensionati che non lavorano, gli anziani soli, i precari, i giovani, i separati: quelli che non godono di una sicurezza sociale e materiale, che non hanno “dietro” una famiglia benestante e non posseggono nessuna dote: una casa, una macchina, un lavoro.
In un paese così, senza nemmeno il pericolo sovietico alle porte, chiedere più soldi per finanziare lo stato è drammaticamente complicato, anche se quei soldi servono a pagare debiti già accumulati e a redistribuire risorse in modo più equo, anche per rilanciare la spesa delle famiglie. Chi non paga nulla o poco continua a evadere e chi paga già molto a fronte di quello che riceve sente come un’ingiustizia enorme questo scarto tra il dare e l’avere.
Quindi occorre grande cautela, senso del limite, equità ed equilibrio, per non fare saltare il piatto. E bisogna dare la precisa sensazione che il sacrificio serve a invertire la marcia non solo contro l’iniquità, ma anche contro l’inefficienza, gli sprechi, il sommerso; serve a rimettere i conti in ordine a fronte di un impegno a risanare non solo la finanza pubblica, per adempiere agli impegni dell’Europa, ma il paese tutto, sollevandolo dalle secche.
Possiamo dire che questo è il segno della manovra finanziaria, almeno per come viene percepita in queste prime ore?
Non possiamo.
Riforma delle aliquote, revisione degli estimi, ticket, studi di settore, centrano il bersaglio dell’equità, senza la componente delle riforme strutturali che aprono al merito, al mercato, alla concorrenza e che il governo ha solo avviato? Non lo centrano.
Il paese non ce la fa così, siamo d’accordo. Ma se c’è un buco di bilancio si copre con uno sforzo specifico chiesto agli italiani e tutto il resto va di conserva con il piano delle riforme strutturali, che riequilibrano il paese e redistribuiscono oneri e benefici per farli assomigliare di più all’Italia di oggi e di domani. Non a Montezemolo ed Epifani, all’Italia di oggi e di domani.
Per fare questo serve un leader, che parla al cuore e alla mente, che guarda dritto negli occhi e racconta la verità, che spiega con coraggio il suo progetto per il futuro.
Per fare questo serve un leader, che parla al cuore e alla mente, che guarda dritto negli occhi e racconta la verità, che spiega con coraggio il suo progetto per il futuro.
Lo so, non dovevo guardare il discorso di commiato di Tony Blair su Bbc News, martedì scorso. Un discorso esemplare – pur con tutte le riserve che si possono avere sulle sue singole scelte – per la forza e la chiarezza delle posizioni. E men che meno dovevo guardarlo per trovarmi di lì a poco a seguire il dibattito alla Camera sul caso Telecom.