In questi giorni si festeggia la riedizione appena restaurata di un classico indimenticabile: “Il complotto contro Prodi”. Un vasto mondo economico e intellettuale nutre per questo film la stessa passione che negli anni Settanta animava i cinefili di sinistra per “La corazzata Potemkin”.
Tuttavia non deve stupire che l’invocazione ai protagonisti di allora perché ripetano l’impresa venga proprio da chi, al tempo del governo D’Alema, per primo tuonò contro l’infame cospirazione che aveva rovesciato il miglior governo che l’Italia avesse mai avuto – il governo Prodi del ’96 – per cinico calcolo e ambizione personale. Come è noto, la passione dei fan non conosce ostacoli. E così, simili agli irriducibili fan di Star Trek o ai loro lontani antenati che inondarono di lettere il povero Conan Doyle all’indomani della (prima) dipartita del grande investigatore, i giornali di queste settimane si riempiono di malcelate invocazioni ai possibili regicidi del secondo governo Prodi: da Massimo D’Alema a Franco Marini, a chiunque possa credibilmente prenderne il posto.
Noi non abbiamo mai creduto alla teoria del complotto ordito da D’Alema e Marini per far cadere Prodi nel ‘98. Ma se fino a ieri ci avessimo creduto, oggi ci verrebbe più di qualche dubbio, osservando il curioso spettacolo. D’altra parte, nessuno dei due protagonisti di allora sembra intenzionato ad accogliere simili inviti. Né D’Alema né Marini, crediamo, parteciperanno all’agognato sequel, nonostante le generose offerte di tanti illustri produttori e mecenati. Entrambi sembrano piuttosto impegnati nella costruzione di quel Partito democratico che serve a dare stabilità al governo, ma prima ancora al centrosinistra e al bipolarismo, prosciugando l’acqua di cui hanno bisogno tutte le oscure manovre che quotidianamente riempiono i giornali, vere o fasulle che siano.
Per questa ragione non ci preoccupano più di tanto le voci contrarie che si levano da questa o quella parte, a proposito di un progetto – quello del nuovo partito – che sembra ormai non più reversibile. Per questo non diamo troppo peso nemmeno a quei dalemiani coccolati dai giornali perché ostili o dubbiosi o freddini sul Partito democratico e sul governo Prodi. Un altro curioso fenomeno cui abbiamo finito per abituarci in questi tempi bizzarri, poveri di certezze e di solidi punti di riferimento. E in cui ci soccorrono almeno le alte parole pronunciate al convegno ecclesiastico di Verona, che ci sentiamo di fare nostre: meglio essere dalemiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo.