Su Umberto Galimberti e sul suo intervento a proposito della scuola italiana pubblicato domenica su Repubblica se ne potrebbero dire tante. Si potrebbe, ad esempio, notare l’uso un po’ stucchevole e sintatticamente discutibile (ma forse qualche suo ammiratore lo considererebbe “oracolare”) di frasi che cominicano con “ma” ed “e”. Si potrebbe anche ragionare su come spesso i filosofi si compiacciano di trasformarsi in tuttologi, dispensatori di parate d’opinioni che transitano placidamente per i più frequentati luoghi comuni indossando la maschera del moralismo, invece di praticare la filosofica arte del dubbio, dello scardinamento razionale di tutte le opinioni, a cominciare dalle proprie. Si potrebbe infine concludere che Galimberti non è Socrate né Spinoza e che ogni epoca ha i filosofi che si merita.
Stavolta, però, Galimberti ha parlato di scuola e la scuola è una cosa seria che mi sta dannatamente a cuore, un po’ perché ci lavoro, un po’ perché le sorti dell’istruzione pubblica sono uno dei patrimoni più delicati che ogni società si trova a dover gestire. Allora, provo a spiegare perché il modo in cui Galimberti ha parlato di scuola è, per dirla con poche parole, il peggiore che si possa concepire.
Il primo motivo è questo: Galimberti parla di scuola non perché la scuola lo preoccupi o lo interessi in sé, ma per rincorrere un caso di cronaca. Qualche giorno fa in una scuola italiana finora non meglio identificata alcuni studenti hanno ripreso le molestie, le umiliazioni e le botte da loro stessi inflitte a un compagno down, condite da qualche slogan nazista e da altre insensatezze, e poi hanno messo il filmato su internet, nella sezione video di Google. Le immagini sono state scaricate da qualche centinaio di utenti, finché un’associazione venuta a conoscenza della cosa ha denunciato l’accaduto alla magistratura. Il video è stato rimosso dal web, le indagini sono in corso. L’episodio è orribile e c’è da augurarsi che gli idioti che l’hanno messo in atto passino quel che serve perché ne comprendano la gravità. Trovo tuttavia se non orribile parecchio fastidioso che uno degli intellettuali più in vista del paese prenda a ragionare di scuola e delle sue dinamiche generali sulla base di un episodio del genere, la qual cosa assomiglia molto a voler riformare il codice penale sulla base dell’emozione provata assistendo allo scippo di una vecchietta per strada. Purtroppo non è un vizio del solo Galimberti. In Italia sembra che di scuola non si riesca mai a discutere e ragionare, per così dire, a freddo. Se ne parla molto, in verità, ma sempre sull’onda emotiva di qualche evento, che si tratti dell’allagamento di un prestigioso liceo ad opera di un gruppo di studenti che intendevano così evitare un compito in classe o della professoressa molestatrice dei propri studenti minorenni o dei libri troppo pesanti per la schiena dei ragazzi o, ancor più assurdamente, di qualche ricorrenza istituzionale ed eternamente ritornante quale l’avvento degli esami di fine anno.
Ma c’è un altro motivo per il quale Galimberti parla di scuola nel peggior modo possibile: la immagina come un luogo dove è in atto una guerra senza quartiere tra generazioni. Adulti contro adolescenti. Essendo lui un adulto, Galimberti sintetizza: adulti contro alieni, adulti contro mostri. Anche in questo caso è in buona compagnia: negli ultimi tempi molto spesso le rappresentazioni pubbliche della scuola italiana hanno voluto mostrare questo stereotipo. Cito, per tutte, l’agghiacciante e pur interessante romanzo di Antonio Scurati, “Il sopravvissuto”. Galimberti identifica il nemico: “ragazzi che ogni giorno vanno a scuola e poi a casa accendono il loro computer per identificarsi con quell’aggressività malsana che fraintende la crudeltà con la forza e l’affermazione della propria identità con l’accanimento fisico sul più debole e il più indifeso”. C’è tutto quel che fa spettacolo: i giovani mostri, la violenza endemica, l’astuzia diabolica e, infine, internet, crocevia di tutti i mali del mondo. Non sta parlando dei pochi deficienti del video, ma di quello che lui ritiene essere il materiale umano che la scuola oggi ospita: “Oggi stiamo spaventosamente regredendo. E costruendo fin dalla più tenera età ragazzi che cercano la loro identità nella forza. Non nella forza del carattere, e neppure nella forza del pensiero, ma, nella completa afasia del cuore e della mente, nella forza dei muscoli, naturalmente dopo aver opportunamente valutato che la propria forza superi quella dell’altro”. Galimberti si mostra talmente preoccupato che giunge a chiedersi se gli adulti che lavorano nella scuola si rendano conto della tragedia incombente e li esorta a indagare, addirittura, “se i fondamentali della natura umana sono ancora presenti e attivi” nel cuore dei ragazzi loro affidati. Anche in questo caso si potrebbe rubricare il tutto come il solito catastrofismo di un intellettuale radical-chic, pagato per far fremere d’indignazione e sdegno i suoi molti lettori davanti ai quali viene allestita la scena del naufragio della civiltà osservato con cupo pessimismo e a colpi di “Signora mia!” dall’intellettuale-cassandra. Il male, parrebbe di capire, è dappertutto: “Dobbiamo allora pensare che la nostra cultura sia così degradata da infrangere, sin dalla giovane età, non solo il precetto universale di amare il prossimo, presente in tutte le religioni, ma anche il ribrezzo naturale di accanirsi sul più debole? Sì, dobbiamo pensarlo se è vero che quel video è tra i più visti sul Web.”. Laddove, del tutto illogicamente, si innalzano a verità universale comportamenti men che rilevanti dal punto di vista sociologico e quantitativo; si ignora del tutto la variegata e variopinta realtà degli adolescenti in carne, ossa e pensieri; e infine si sfonda la barriera del ridicolo quando qualche centinaio di accessi (compresi, evidentemente, quelli di chi ha poi denunciato il fatto) viene trasformato nella locuzione “tra i più visti sul Web”.
Eccoci arrivati, infine, al terzo motivo: il ragionamento di Galimberti sulla scuola è pessimo anche per quella che sembra proporre come strategia d’uscita. Scrive, infatti: “E allora la scuola, prima delle discipline che è incaricata a insegnare, prima dell’educazione civica impartita per avviare all’osservanza della legge, dovrebbe incominciare a indagare se i fondamentali della natura umana sono ancora presenti e attivi nei ragazzi […]. Scuola, scuola, scuola. So che i compiti che oggi vengono affidati agli insegnanti sono molti. Ma incominciamo da questo, perché senza il più elementare dei sentimenti umani, nessun processo culturale può partire.”
L’idea è bizzarra perché quella cosa che Galimberti chiama “i fondamentali della natura umana” è una realtà storica, un insieme di atti e pensieri che l’umanità ha prodotto, meditato e vissuto lungo la sua storia millenaria, attraverso lotte, discussioni, interpretazioni, incarnandoli infine in alcune “discipline”, proprio quelle che Galimberti vorrebbe mettere tatticamente da parte. Sarebbe già tanto se la scuola facesse il suo sporco lavoro, e cioè fosse capace di trasmettere alle nuove generazioni in maniera critica, convincente e interessante proprio quel patrimonio culturale. Invece, retoricamente, Galimberti si disinteressa delle condizioni che renderebbero quel lavoro fattibile ed efficace e vorrebbe incaricare la scuola, nientemeno, di risolvere il mysterium iniquitatis, che pare un modo come un altro per chiamarsene fuori (dalla realtà della scuola, e dal tentativo di risolvere il problema del male).
Un’ultima nota: chi sta leggendo questo articolo potrebbe pensare che io stia esagerando nel preoccuparmi di quel che pensa e scrive Galimberti. Dopotutto, se ci si dovesse fare carico di ogni congerie di sciocchezze che quotidianamente i mezzi di informazione ci rovesciano addosso si arriverebbe presto all’esaurimento nervoso. Il fatto è che alle parole di Galimberti ha sentito l’esigenza di rispondere di persona il ministro della Pubblica istruzione, con una lettera pubblicata oggi (lunedì) sul medesimo quotidiano, Repubblica. Ne è già stato reso noto uno stralcio, che riporto testualmente: “E’ tanta la violenza che aggredisce la scuola da fuori ed è altrettanta quella che reagisce da dentro. E’ questo il motivo per il quale ho istituito un tavolo nazionale sulla legalità, dopo avere anche firmato una direttiva in tal senso, all’interno del quale per la prima volta è già operativo un gruppo di lavoro sul ‘bullismo’ chiamato a elaborare un piano organico di interventi”.
Non riesco a capire che cosa sia più grave: se la prosa del ministro così incerta, contorta e a tratti incomprensibile (che cosa significa “quella che reagisce da dentro”?) o il fatto stesso che il ministro si sia sentito in dovere di rassicurare Galimberti circa l’aver preso sul serio il suo accorato grido d’allarme o ancora l’illusione neosessantottina che la soluzione al problema evocato possa essere trovata da “un tavolo nazionale sulla legalità” istituito da una “direttiva in tal senso” il quale tavolo, ci rassicura il ministro, raccoglierebbe attorno a sé “già operativo un gruppo di lavoro […] chiamato a elaborare un piano organico di interventi”. Oltretutto: per la prima volta!
Io, intanto, domani mattina tornerò nelle mie classi e spiegherò, nell’ordine, il “Fedone” di Platone, “L’autunno del medioevo” di Huizinga, la “Fenomenologia” di Hegel, la Prima guerra mondiale leggendo brani di Céline, Hobsbawm, Ungaretti, Sabbatucci, D’Annunzio e Gibelli. Chissà che cosa direbbe Galimberti, se lo sapesse. Chissà che cosa direbbe il ministro.