Non sono i bambini che lavorano./ Ma non si lavora mai che per i bambini./ Non è il bambino che va nei campi, che ara e che semina, e che miete e che vendemmia e che pota la vigna e che abbatte gli alberi e che sega la legna./ Per l’inverno./ Per riscaldare la casa d’inverno./ Ma come si potrebbe mettere a lavorare il padre se non ci fossero i suoi bambini./[…] È a questo, è per questo che si lavora, perché non è forse per i figli che si lavora?/ Lui non sarà più che un corpo in sei piedi di terra sotto sei piedi di terra sotto una croce./ Ma i suoi figli saranno./ Lui saluta con tenerezza il tempo nuovo in cui non sarà più./ In cui non sarà./ In cui i suoi figli saranno./ Il regno dei suoi figli./ Pensa con tenerezza a quel tempo che non sarà più il suo tempo./ Ma il tempo dei suoi figli./ Il regno (di tempo) dei suoi figli sulla terra./ In quel tempo, in cui quando si dirà i Sévin non sarà lui ma loro./ Senz’altro, senza spiegazione.
(Charles Péguy, Il portico del mistero della seconda virtù)
a cura di Marco Beccaria