Il libro di Giovanni Lindo Ferretti, “Reduce”, è un libro di viaggi. Ce ne sono di ben scritti, con immagini e sapori, come si fa nelle canzoni. Che ti viene voglia di andarci in Mongolia a guardare “le aquile in cielo a volteggiare”, o in Algeria per “l’incontro a gennaio con i Tuaregh in risalita dal Mali”. E – ammesso che si possa – tornare indietro nel tempo: nella vecchia Yugoslavia “un po’ parente povera d’una Emilia in disuso” o nella Mosca sull’orlo del crollo del socialismo reale, “assalto al cielo ben spiaccicato per terra”.
Giovanni Lindo Ferretti, per chi non lo sapesse, è l’ex leader dei CCCP-Fedeli alla Linea, il gruppo emiliano del “punk filo-sovietico”, un po’ Guareschi un po’ controcultura antiamericana. Adesso, con questo libro emotivamente spesso, sta suscitando le golose attenzioni di tutto quel mondo cultural-giornalistico che spinge per riportare la Chiesa Romana al centro del “discorso pubblico”. Perché Ferretti in “Reduce” fa il punto sul suo stato di ri-convertito al cattolicesimo, sul viaggio – appunto – che da Berlino (dove nel 1982 fondò la band) lo ha portato a un paesino dell’Appennino tosco-emiliano “in regressione genetica, a casa, la mia, dei miei”. In mezzo, temporalmente e spazialmente, c’è la descrizione di quanto è successo, senza rinnegamenti, ma visto sotto una luce diversa perché “dato il luogo e il tempo, sono stato un giovane estremista sciocco stupido e di buon cuore”. Insomma, uno spottone che i cosiddetti atei devoti e tutti i teo-qualcosa hanno già impacchettato e messo in dispensa.
Il titolo del libro è azzeccato. Per un motivo: Ferretti non è mai stato un terzista. “Reduce” infatti dà l’idea che ci sia stata una tempesta di quelle definitive e che uno – che si è messo in gioco per davvero – sia stato sbattuto sulla spiaggia con le ossa piuttosto malconce. Nonostante tutto ciò, Ferretti continua a lanciarsi a corpo morto, è forse un eccessivo e fa il cristiano con una fisicità che non ammette scorciatoie. Fosse stato un terzista un po’ furbetto invece, non avrebbe potuto essere reduce di un bel niente.
Detto questo, che è una cosa più di metodo che di sostanza, molti potrebbero essere tentati di leggere il libro con un occhio rivolto ai vecchi testi dei CCCP e ai vecchi proclami, per cercarci dentro le avvisaglie della conversione. Sbagliato. Certo, in una vecchia intervista del 1988 a “Rockerilla” Ferretti diceva: “Una frangia minoritarissima ha deciso che esisteva un nuovo ordine monacale in giro per le strade: questi erano i punk… questa cosa è estremamente medievale”. E, sfogliando il libro (la copertina è una foto di lui che sembra un frate), ci si trova un’esortazione che suona simile: “Fatevi avanti, monaci e monache, famiglie in carne e sangue d’amore”. L’idea cioè che esista un precipitato di umanità più consapevole che tiene viva la fiammella, una minoranza (bolscevica?) che fa la rivoluzione o che salva. Ma non è che il monaco laico di oggi debba essere per forza contenuto in nuce nel punkettone di allora. Sì, la propensione al definitivo, all’osso delle faccende, c’era anche allora, ma questo filo rosso non può reggere un carico troppo pesante.
A ben considerare, sono più che altro coloro che vorrebbero insegnare a tutti come si fa ad essere buoni cattolici, a cercare questa continuità tra la nuova vita di Ferretti e il suo vecchio “salmodiare” in “Punk Islam”. Sembrano dire: c’è poco da fare, la cultura occidentale è talmente impastata di cattolicesimo che anche la ribellione è anelito di infinito e di unione con la storia secolare di Santa Romana Chiesa. E si lasciano sfuggire – questi insegnanti – un verso di una bellezza sconcertante (il libro è pieno di cose poetiche) che li ridicolizza un po’: “tremo per un non so che si trova a volte a caso”. Essi – invece – godono molto di più per l’ortodossia di alcune prese di posizione dell’ex front man dei CCCP: l’amore per Ratzinger (“Dio benedica Sua Santità Benedetto XVI”), la necessità di tornare alla messa in latino ecclesiastico, un’idea di politica decisamente premoderna (“ciò che mi incanta nella propaganda anticattolica è l’ossequio pedante untuoso di ciò che è conveniente a contingenza politica, già solo per questo falso”), la dichiarazione d’amore per Israele.
Ciò che rende questo libro di viaggi una lettura che vale la pena fare è la sincerità e l’umanità, forse un po’ allucinata e narcisista, di Giovanni Lindo Ferretti che, quando va in giro, non si limita a guardare posti e gente dal finestrino del pullman ma scende in strada davvero. E lo fa sempre in prima persona, restando “fedele alla linea anche quando non c’è”, a differenza di tanti che la linea la dettano ma pretendono soltanto la fedeltà altrui.