Pubblichiamo qui l’intervento di Gavino Angius al Comitato centrale del Partito comunista italiano (Roma, 20-24 novembre 1989), nell’ambito del dibattito suscitato dalla proposta del segretario Achille Occhetto di dar vita a un nuovo partito della sinistra.
Un’operazione politica di grande rilievo, un’operazione che va molto oltre noi stessi: questo era, poteva essere, e spero possa ancora essere, la proposta di aprire una fase costituente per dare vita ad una nuova forza politica democratica e socialista. Circostanze del tutto evitabili ci costringono ora ad una rincorsa affannosa per recuperare il senso alto e profondo di una idea forte ed una ricerca paziente per individuare il percorso giusto di decisione e di scelta. Una decisione, quella della costituente, che spetta comunque ad un congresso straordinario. Soltanto così possono essere compiute scelte tanto impegnative che riguardano non noi, ma l’intero partito.
Una grande forza politica deve sempre avere il senso del percorso che la storia traccia e che, a volte, trasforma repentinamente il presente. E’ ciò che sta avvenendo. Ad Est, ma anche ad Ovest.
La sinistra in Europa e in Italia è di fronte a una nuova opportunità per esercitare, in forme originali, la sua funzione storica. No, non accetto di partire dal nome. Considero centrale la cosa. E se mi si dice che questa è la questione, rispondo che non mi sento responsabile di ciò che non sono, di ciò che non ho commesso e che, al contrario, da comunista italiano ho combattuto e anche subìto. E aggiungere che se qualcuno considera quel nome un ingombro, addirittura qualcosa di impronunciabile, offrirebbe oggi il segno, la prova di una sua inaffidabile e moderna doppiezza. Non attribuisca, quindi, ad altri ciò che gli è proprio.
Noi non dobbiamo rispondere di una crisi storica di una forma di Stato imperniato sul dominio del partito unico. Non ci appartiene. Ciò che non va disperso, invece, è quel nucleo teorico, quella finalità precipua che sta a fondamento di un grande movimento democratico, popolare e socialista e di un grande partito come questo. Il compito nostro è un altro. Ed è politico o, se si vuole, storico-politico. Non ci si può adeguare a una realtà esistente entro la quale c’è il rischio di un declino inarrestabile. E’ dal rifiuto delle cose presenti che nasce l’idea di una fase costituente. In questo senso non si opera una rimozione storica, anzi si fanno rivivere antiche radici non solo nostre, ma comuni ad altre culture. Perché facciamo questo? Io do una risposta. Per cercare di parlar meglio alla condizione umana di oggi. Per stabilire un nesso nuovo tra una politica che rechi in sé i valori attualissimi della liberazione e le contraddizioni del tempo presente (non violenza, interdipendenza, differenza sessuale, nuove alienazioni, ristrutturazione ecologica).
Leggo così la proposta della costituente. Come una grande verifica delle forze in campo, delle volontà politiche, della ridefinizione del con chi stare, a quali fini, per che cosa. La proposta non è scontata: al suo interno c’è il pericolo del riprodursi di un grande trasformismo, vizio antico della politica italiana. Viceversa, essa può essere un rinnovato atto di autonomia politica, culturale, ideale compiuto da un grande partito della sinistra.
Esistono i punti di vista intesi in senso gramsciano. Le cose del mondo non sono viste allo stesso modo da un giovane meridionale disoccupato e da un manager d’industria. Qui viene la cosa, cioè il nuovo partito. Non un fine, ma un mezzo. Uno strumento nelle mani dei lavoratori, delle classi subalterne, dei nuovi soggetti della trasformazione, delle forze più avanzate della cultura e della produzione. Uno strumento per una nuova azione politica, per la riforma della stessa politica. Qualcosa di più del nuovo Pci, non qualcosa di meno. Ci è stato detto di adeguarci all’esistente o perfino che era venuta meno la nostra ragion d’essere. E’ questo che stiamo facendo? Credo di no, ma la questione va posta apertamente. A sinistra e alle forze democratiche.
Intendo il nuovo partito come strumento di nuovo antagonismo, di un nuovo e più avanzato e moderno conflitto. In discussione è una specifica forma-partito. Il punto vero è se questo nuovo partito deve o no, con nuovi protagonisti, orizzonti, diversi valori, assolvere in modi diversi dal passato la funzione fin qui svolta. Un partito della sinistra non può acconciarsi a rappresentare la società, ma deve agire sulla realtà per trasformarla. Il pericolo vero non è quello di far nascere un partito radicale di massa, ma quello di far sorgere una specie di partito elettorale di massa, che abbia per finalità essenziale la conquista della rappresentanza istituzionale e che sia portatore di interessi molto lontani da quelli che noi abbiamo storicamente rappresentato. Senza un forte radicamento organizzativo. Questo viene oggi suggerito da alcuni consiglieri. Ma questo è l’esatto contrario di ciò di cui ha bisogno oggi la sinistra. Anche di questo dovremo discutere bene.
Non temo la sfida con il Psi. La accetto, perché do a tutte le forze di sinistra la possibilità di costruire un’alternativa al sistema democristiano, in un orizzonte europeo e italiano. Lavorando così anche la collocazione nell’Internazionale socialista diventa un obiettivo giusto. Potrà essere scardinato quel ruolo di cerniera del moderatismo politico che il Psi si è assegnato e forse si potrà definire davvero un riformismo reale.
Bisogna creare le condizioni perché ciò avvenga. Bobbio ci ha consigliato di non avere precipitazione. E’ un suggerimento saggio. Sebbene non ne veda tutte le condizioni, lavoriamo, con la proposta formulata, perché qui il Pci ponga l’obiettivo di promuovere una fase costituente per dar vita ad una nuova forza politica di ispirazione democratica e socialista. Necessarie sono, tuttavia, due condizioni.
Che si vada ad un’assemblea o convenzione nazionale che definisca un nuovo progetto politico o programma fondamentale e che su questa base, e successivamente, si definiscano percorsi per l’eventuale creazione di un nuovo partito politico e non di una non meglio precisata formazione politica. Soltanto dopo le elezioni amministrative potrà essere convocato un congresso straordinario che apra la fase costituente.
La seconda condizione è che la definizione del nome di un nuovo partito spetti ad esso soltanto e che, pertanto, non è il Pci a dover cambiar nome, ma al contrario spetta ai comunisti contribuire a definire, insieme ad altri, i caratteri, l’identità, i simboli e il nome di una nuova forza politica della sinistra.
In quest’ambito, alle prossime elezioni il Pci si presenta con il suo simbolo o, dove ve ne siano le condizioni, con liste di alternativa e simboli diversi.
Senza una larga unità su queste linee o ad esse simili, è giusto e corretto convocare immediatamente un congresso straordinario che consenta a tutto il partito di pronunciarsi, sulla base di regole nuove tali da garantire la più ampia espressione di tutte le sue componenti. Personalmente non considero questa la scelta da preferire, e tuttavia essa può rivelarsi doverosa e necessaria.
Gavino Angius