Mercoledì 13 dicembre il Consiglio nazionale dei Ds darà avvio al percorso che si concluderà con il congresso. Le mozioni saranno tre: Fassino per il sì al Partito democratico, Mussi per il no, Angius per il nì. Nello stesso periodo, entro la primavera del 2007, si celebrerà anche il congresso della Margherita. Nelle intenzioni dei promotori, il Partito democratico dovrebbe presentarsi per la prima volta agli elettori alle europee del 2009.
Faranno allora venti anni esatti dalla svolta della Bolognina. Nel frattempo, ci sembra utile pubblicare qui alcuni degli interventi al Comitato centrale del 20 novembre 1989, in cui si discusse per la prima volta la svolta di Occhetto. E precisamente gli interventi di Piero Fassino, Fabio Mussi e Gavino Angius. Invitiamo i critici del Partito democratico a rileggere con attenzione questi tre documenti storici.
I verbali di quella riunione furono pubblicati dall’Unità in due volumi, sotto il titolo: “Documenti per il congresso straordinario del Pci – Il Comitato centrale della svolta, Roma 20-24 novembre 1989”. Sfogliare i numerosi interventi contenuti in quelle pagine ingiallite, rileggere gli appassionati discorsi di Massimo D’Alema, Walter Veltroni, Enrico Morando e di tutti coloro che ancora oggi rappresentano il vertice del gruppo dirigente ds suscita inevitabilmente una duplice reazione. Da un lato l’idea di un mondo incantato, un luogo separato dal tempo e dalla storia, un partito in cui gli equilibri interni, le parole e le persone sembrano imprigionate. La sensazione, insomma, che sia sempre il giorno della Marmotta, proprio come nel film. Dall’altro lato, però, anche la percezione di un’evoluzione, se è vero che in quella vasta platea di dirigenti che venti anni fa si interrogava drammaticamente sulla “democrazia bloccata” stavano l’attuale presidente della Repubblica e l’attuale ministro degli Esteri, come pure l’attuale presidente della Camera, e giù per li rami, fino all’attuale sindaco di Padova.
Se ne potrebbe concludere che l’obiettivo principale che quei dirigenti si ponevano allora, nel momento della scelta più difficile – la fine del Pci e la nascita del Pds – sia stato raggiunto. La “democrazia bloccata” si è infine riaperta, sia pure in forme traumatiche e di cui bisognerebbe discutere a lungo, e che non ci sentiamo di celebrare come una gloriosa rivoluzione. Fatto sta che quel gruppo dirigente, a rileggere i discorsi di allora e a confrontarli con quelli di oggi, si direbbe quasi essere rimasto folgorato nell’attimo decisivo. Afferrato dal morto al momento del trapasso, e come eternato nell’atto di uccidere il padre. Condannato a non uscire mai da quella riunione.
Le parole dei tre dirigenti che oggi rappresentano le mozioni del prossimo congresso ds, che qui pubblichiamo, sono in larga misura le stesse di venti anni fa. Si discuteva, allora, del nome e della cosa. Si discuteva dell’ingresso nell’Internazionale socialista e nel campo del socialismo europeo. Si discuteva dei tempi e delle procedure, e se dovesse trattarsi di una semplice ricomposizione dell’esistente, oppure di un’autentica rifondazione, che coinvolgesse forze più larghe, a partire dalla società civile (allora si preferiva dire la “sinistra sommersa”, ma il concetto era lo stesso e le stesse, anche lì, drammaticamente, erano le persone). Si parlava di fasi costituenti e di percorsi più o meno federativi. Si parlava del rischio di perdere la propria identità e del bisogno di adeguarsi ai tempi, ai grandi mutamenti del mondo e dell’Italia. Un dibattito, insomma, che trasmette un senso di autentica angoscia, diviso tra l’ampiezza della riflessione sul mondo e la microfisica dei passaggi intermedi e delle procedure, nel tentativo di abbracciare ogni cosa e sempre sul punto di spezzarsi. Sembra ieri ma non era ieri, perché era quasi venti anni fa.