La gente ha un problema, se deve mettere in discussione il proprio sistema di valori a causa di un libro, di una storia scritta da qualcuno o da una canzone degli Slayer”. La domanda riguardava il conflitto tra la professata fede cattolica e i testi – alle soglie del blasfemo – delle canzoni incise dal gruppo. A rispondere, Tom Araya, voce e basso degli Slayer, capostipiti dello speed/death metal. Risposta la cui parte iniziale suona più o meno così: “Kerry (King, chitarrista della band) ha scritto della roba davvero ‘fuori’. Ma io non sono del genere: fa schifo perché è contraria a quello in cui credo. Io preferisco dire: questa è roba davvero buona, faremo uscire la gente di testa”.
Gergo e limiti di questa attitudine a parte, le cose da sapere sul doppio ritorno degli Slayer (nuovo full-lenght in studio e formazione originale) sono solo due: la roba è davvero fuori ed è davvero buona.
Araya, King, il secondo chitarrista Jeff Hanneman e il batterista Dave Lombardo, californiani di Huntington Beach, uniscono le forze nel 1982 come cover-band di Judas Priest e Iron Maiden. Notati da Brian Slagel della Metal Blade Record incidono una traccia sulla terza antologia della serie Metal Massacre per arrivare al debutto in vinile: “Show No Mercy” (’83) è ancora un frutto acerbo, ma la pianta cresce bene, nutrita dalla linfa della grande padronanza tecnica dei quattro. Dopo la pubblicazione dei due ep “Haunting The Chapel” e “Live Undead” (’84), il secondo album “Hell Awaits” (’85) esalta l’ossessione della band per il tema della dannazione e della tortura, due dei loro preferiti accanto all’avversione per ogni fede religiosa e per ogni genere di guerra. “Hell Awaits” diventa un piccolo cult, attirando l’interesse del produttore Rick Rubin (Def Jam) sotto la cui direzione gli Slayer incidono “Reign In Blood”. Perfetta fusione di speed, metal e hardcore. Accompagnato da liriche violente sino al disturbo, l’album diviene punto di riferimento per la scena e le band a venire. I successivi “South Of Heaven” (’88) e “Seasons In The Abyss” (’90) si mantengono su buoni livelli, anche se non posseggono la ferocia e il perfetto equilibrio del precedente. La band cerca di raggiungere uno stile più maturo, non imprigionato nel cliché della velocità. Una certa stanchezza si fa sentire ed emergono i primi dissapori: Dave Lombardo lascia, primo di una serie di in-and-out pesanti in punto stile e compattezza (durante uno di questi periodi, Lombardo darà vita agli apprezzabili Grip, Inc. di “Solidify”, insieme a Waldemar Sorychta, produttore dei Samael); “Divine Intervention” (’94) difende lo standard ma “Undisputed Attitude” (’96), composto da cover punk e hardcore, e “Diabolus In Musica” (’98) sono deboli. “God Hates Us All” (’01) è l’inizio della risalita che culmina con il nuovo lavoro “Christ Illusion” (08/2006). Gli Slayer ritrovano la giusta misura in un incredibile (e incredibilmente fresco) incrocio di speed, hardcore, cadenze doom e rimandi al metal anni ’90 o ai primi Black Sabbath.
Le splendide “Catatonic” e “Eye Of The Insane” si elevano sopra la furiosa mischia delle altre tracce, tutte (a eccezione di “Catalyst” e “Supremist”, più esercizi di stile che altro) inesorabili, veloci e strutturate. L’affiatamento della band è ad alto livello. Ognuno offre il meglio senza sovrastare gli altri, così contribuendo a un sound aggressivo e potente dove è comunque possibile ascoltare ogni singolo strumento. Non meno aggressivi i testi, feroce atto d’accusa contro ogni indottrinamento e qualsivoglia “guerra santa”: nessuno – cattolico o islamico, orientale o occidentale – è qui al sicuro da un assalto di acidi gastrici degno del primissimo punk e, come quello, esposto alla strumentalizzazione e all’equivoco.