In questi giorni, su tutti i principali quotidiani italiani, si leggono notizie clamorose e sorprendenti. Notizie che riguardano le inchieste che hanno portato in carcere diversi dirigenti della security di Telecom come Giuliano Tavaroli, investigatori privati e altissimi esponenti dei servizi segreti. Secondo l’accusa, queste persone conducevano ogni genere di attività spionistica utile a ricattare, diffamare e indurre a più miti consigli gli avversari dei loro mandanti. E secondo l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari il mandante era uno solo. “Le logiche puramente partigiane, nella contrapposizione tra blocchi di potere economico e finanziario, che hanno mosso Tavaroli ed il suo gruppo tendevano a beneficiare non già l’azienda come tale ma colui che, in un dato momento storico, ne è proprietario di controllo”. E cioè Marco Tronchetti Provera, che oltre a essere il principale azionista di Telecom Italia è anche esponente di primo piano del patto di sindacato che governa la Rizzoli-Corriere della sera. Per essere più precisi, all’interno del patto Rcs, Tronchetti fa parte di quella cordata – con Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle e Cesare Geronzi – che sul finire del 2004 mise in minoranza Giovanni Bazoli, ottenne le dimissioni del direttore del Corriere Stefano Folli (e poi dell’amministratore delegato di Rcs Vittorio Colao) e reinsediò alla guida del quotidiano Paolo Mieli. Tutto questo, guarda caso, alla vigilia della madre di tutte le battaglie di potere che si siano combattute in Italia dai tempi di Mani pulite: lo scontro attorno alle banche e alla stessa Rcs, quando proprio Montezemolo, Della Valle e Tronchetti si schierarono a difesa degli equilibri consolidati nella finanza italiana. Una campagna che fu condotta, guarda caso, proprio dal Corriere. Subito seguito da Sole 24 Ore e Stampa, e quasi subito anche da Espresso e Repubblica. I grandi giornali si gettarono dunque pienamente e senza risparmio nella campagna per la moralizzazione della finanza, al fianco di Montezemolo, Della Valle e Tronchetti. Tutti ripetutamente intervistati su Repubblica, in forme che dire condiscendenti è poco, circondati da editoriali e corsivi a riecheggiarne le tesi. Le tesi di quello che Tronchetti, in una di tali interviste, definì con orgoglio “il salotto sano”.
La campagna di stampa guidata dal Corriere e seguita da tutti i principali giornali italiani si fondava sul teorema di un unico disegno di potere che mirava a sovvertire gli equilibri della finanza, minacciava la libertà di stampa e la stessa democrazia, al servizio di oscuri interessi politici ed economici, in una trama che andava dai vertici dei Ds a Silvio Berlusconi. La bicamerale della finanza. Un unico filo rosso, arrivò a scrivere il Corriere, che partiva addirittura dall’opa Telecom di Roberto Colaninno, e che attraverso i legami tra finanza rossa e speculatori come Emilio Gnutti arrivava fino alle scalate del 2005. Un complotto dai contorni indefiniti e largamente contraddittori, in un affastellarsi di accuse, ricostruzioni e scenari fantapolitici sorretti solamente da paginate di intercettazioni, tagliate e ricucite ad arte, usate per costruire il clima e propalare i veleni, i sospetti e le accuse necessarie a giustificare l’intervento della magistratura.
Curiosamente, sui grandi giornali, nessuno in questi giorni ha collegato la spazzatura di cui furono inondate le edicole allora con quella centrale occulta dedita allo spionaggio e alla costruzione di falsi dossier di cui si parla oggi, con assai maggiore cautela e sobrietà. Lo ha fatto solo Rinaldo Gianola, in un lungo e puntuale articolo sull’Unità di domenica. Aggiungiamo che ai primi arresti del marzo 2006 (per lo scandalo Laziogate), e proprio sul Corriere della sera, si scrisse che il provvedimento era pronto sin dall’autunno del 2005, ma era stato ritardato per l’improvvisa sostituzione di un gip. Ricordiamo che nell’autunno 2005 il governatore della Banca d’Italia si chiamava ancora Antonio Fazio, la scalata di Unipol a Bnl era in pieno corso e forse – se proprio allora fosse emersa l’esistenza di una centrale occulta, nel cuore del “salotto sano”, dedita alla fabbricazione di simili dossier – chissà. Forse la giostra delle interviste compiacenti di tanti politici, la campagna contro Massimo D’Alema e Piero Fassino, il tentativo di mandare all’aria l’opa di Unipol a Bnl, forse tutto questo si sarebbe fermato. Forse qualche dubbio sarebbe emerso. Certo è che oggi, nel 2007, ancora attendiamo di conoscere su quali basi sia stato possibile affermare che l’opa di Unipol fosse men che corretta, che Consorte fosse addirittura parte di un’associazione a delinquere, che ai vertici dei Ds si fosse aperta nientemeno che una “questione morale”.
Per lungo tempo siamo stati tra i pochissimi a scrivere queste cose. Persino il libro del vicedirettore ad personam del Corriere della sera Massimo Mucchetti, “Il baco del Corriere”, non ha sollevato il minimo dibattito. Eppure in quel saggio Mucchetti ha scritto cose chiarissime sul nesso che lega l’allontanamento di Folli dalla direzione del Corriere della sera prima e la campagna di stampa condotta dal giornale poi, con la vicenda che dà il titolo al libro: le intrusioni informatiche, i pedinamenti e le attività di dossieraggio dei responsabili della security Telecom ai danni dello stesso Mucchetti e di Colao. Tra gli altri.