Di questi tempi il discorso pubblico è letteralmente impestato di richiami ai valori e di lamentazioni sulla decadenza dei costumi. Ci piacerebbe pertanto che il manifesto del Partito democratico, cui lavorano tante illustri personalità, desse almeno un timido segnale di riscossa intellettuale e morale. Ci piacerebbe, anzitutto, che fosse un manifesto. Il che significa conciso abbastanza da poter essere affisso alle pareti e negli appositi spazi, senza bisogno di stamparne il testo in caratteri minuscoli. E scritto con parole comprensibili e chiare a tutti, senza bisogno di note esplicative in fondo. Ci piacerebbe che fosse un manifesto di appena cinque articoli, che dicessero più o meno così: 1. Il Partito democratico si pone come unico obiettivo politico la difesa, l’allargamento e il rafforzamento della democrazia. Questo è il suo programma fondamentale di politica internazionale e di politica interna. 2. Il Partito democratico non riconosce altro valore assoluto al di fuori della libertà e della dignità della persona, nella convinzione che tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali, e devono godere pertanto degli stessi diritti. 3. Il Partito democratico persegue una politica di riforme democratiche, promuove il massimo pluralismo economico e culturale, combatte ogni forma di ereditarietà sociale e ogni discriminazione. 4. Il Partito democratico persegue tale politica riformista, di ispirazione socialista e cristiana, in coerenza con i suoi obiettivi e con i suoi principi: dal basso, attraverso la sua stessa organizzazione, popolare e di massa, nella società; dall’alto, attraverso l’intervento dello Stato, quando il libero gioco delle forze economiche e sociali non basti o sia in contraddizione con i suoi obiettivi o con i suoi principi. 5. Il Partito democratico riconosce come soli limiti alla sua azione i principi fondamentali dello Stato di diritto liberaldemocratico e del sistema economico capitalistico, che considera tuttavia come forme storiche, e come tali sempre suscettibili di ulteriori e più avanzati sviluppi.
Ci piacerebbe, insomma, che le parole del manifesto, oltre a essere chiare e comprensibili, non fossero parole altrui. Figlie di altre concezioni del mondo, più o meno legittime o imbastardite dall’uso corrente e da quel vizio, sempre più diffuso tra le forze politiche, che consiste in una sorta di superficiale, camaleontico e spesso inconsapevole eclettismo. Ci piacerebbe che la scelta delle parole obbedisse a una logica interna il più possibile rigorosa e coerente, invece che alla tentazione del consueto suk lessicale, con tutto il fiorire di coppie antinomiche e ossimori (quelli di chi si professa rivoluzionario e conservatore, che concilia radicalità e riformismo, e che sotto il manto della sintesi superiore riduce la dialettica a prostituzione intellettuale). Ci piacerebbe che si ponesse un freno a tale deriva, purtroppo sempre più evidente, quando tanti esponenti politici arrivano a parlare del “valore della laicità” – il che, in politica, rappresenta evidentemente una contraddizione in termini.
Per questa ragione ci piacerebbe che nel manifesto il soggetto fosse sempre il Partito, mai i suoi aderenti. Al manifesto sta infatti di fissare principi e finalità del Partito, ai singoli la facoltà di aderirvi – quali che siano i propri valori, le proprie convinzioni etiche o religiose – essendo essi gli unici titolati a giudicare della conformità o della contraddizione tra le proprie convinzioni personali e i principi esposti nel manifesto.
Ci piacerebbe, insomma, che nel manifesto non comparissero mai la parola pace né la parola vita. E che lo stesso riferimento a valori assoluti e non negoziabili fosse limitato unicamente alla libertà e alla dignità della persona.
Ci piacerebbe che il manifesto parlasse di persone e di esseri umani, non solo per evitare l’insopportabile solfa degli uomini e delle donne, dei cittadini e delle cittadine (almeno fino a quando non spunteranno pure gli esseri umani e le essere umane). Non solo per questo, ma perché persona ed esseri umani ci sembrano espressioni di gran lunga preferibili a individui, singoli e via di questo passo, fino al cittadino-consumatore oggi tanto di moda.
Ci piacerebbe che il manifesto del Partito democratico, nella sua brevità, nella scelta delle parole e nelle idee esposte, facesse giustizia di tante insopportabili chiacchiere – talvolta puramente strumentali, altre volte puramente stupide – a proposito di identità e valori.
Ci piacerebbe che il manifesto fosse il primo atto in cui si esprimesse l’idea di un partito che si qualifica per la sua funzione nella società, in altre parole per quello che fa, non per quello che dice. Un partito che sin dal suo manifesto mettesse al bando le parole inutili e si presentasse chiaramente con il suo linguaggio e la sua fisionimia, senza belletti e senza giochi di parole. Ci piacerebbe, per farla breve, che fosse scritto in italiano. Non in inglese.