Grande attesa. Così scrive Fabio Tamburini sul Sole 24 Ore di sabato. Peccato che non ci spieghi da parte di chi. “Il lavoro dei magistrati sta di nuovo segnando i destini di molte partite in corso nel mondo dell’alta finanza. C’è grande attesa, ad esempio, per le intercettazioni raccolte nei mesi decisivi delle indagini sull’ex amministratore delegato della Banca popolare italiana Gianpiero Fiorani. Nei prossimi giorni i testi integrali verranno consegnati agli avvocati e, di conseguenza, diventeranno pubblici”. Proprio così: e di conseguenza diventeranno pubblici. Diventeranno pubblici, “permettendo di comprendere e valutare meglio responsabilità, intrecci tra politica e affari, connivenze riprovevoli. E forse trasformandosi in pena mediatica per chi, pur non avendo commesso reati, ha avuto comportamenti discutibili”. Pena mediatica. Pur non avendo commesso reati. Comportamenti discutibili.
Il messaggio non potrebbe essere più chiaro, e dà i brividi. Ma se in questo paese – nei giornali, nei partiti e nelle istituzioni – non c’è rimasto nessuno che sia capace di intendere il significato di queste parole, allora davvero non c’è che da sedersi e aspettare. Inutile strillare. Tanto vale sedersi e aspettare che la lava arrivi fino alle case degli imbecilli, intenti a fare spallucce o magari anche a gioire della sventura toccata ai loro vicini, a quelli che abitano una ventina di metri più a monte.
Non c’è bisogno di commettere reati per meritare la “pena mediatica”. Sono sufficienti “comportamenti discutibili”, più che sufficienti connivenze “riprovevoli”. Discutibili e riprovevoli a giudizio di chi, dunque, se non del codice penale? La risposta è ovvia: a giudizio di chi si è costituito al tempo stesso in giudice e carnefice, a giudizio di chi controlla i giornali e può dunque selezionare, a sua discrezione, chi meriti la “pena mediatica” e chi no. Il passaggio successivo dell’articolo, a questo punto, appare perfino didascalico: “L’interesse è giustificato anche dall’intreccio tra le vicende della scalata di Fiorani all’Antonveneta e quelle di Giovanni Consorte, l’ex amministratore delegato dell’Unipol, artefice del successo della compagnia, da sempre legato a Massimo D’Alema”. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro. Per dirla in due parole: si ricomincia.
E allora ricominciamo. Dall’inizio, però. E l’inizio è una campagna senza precedenti per ampiezza e violenza, da parte di tutti i maggiori quotidiani, contro i new comers – i celebri furbetti del quartierino – che avrebbero attentato alla stabilità e alla moralità della finanza italiana. Un gruppo di spericolati finanzieri intenzionati a mettere le mani sui centri nevralgici del capitalismo italiano, attraverso una serie di operazioni spregiudicate e illecite, allo scopo di impossessarsi di banche, industrie e giornali. In una parola: il regime. Operazione benedetta da una parte significativa del mondo politico: da Massimo D’Alema, che avrebbe appoggiato Giovanni Consorte e la sua Unipol; e da Silvio Berlusconi, vicino a Emilio Gnutti, Stefano Ricucci e Gianpiero Fiorani. Il tutto, per di più, sotto l’attenta e spregiudicatissima regia dell’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. La scalata di Unipol alla Banca nazionale del Lavoro, quella di Fiorani ad Antonveneta e quella di Ricucci alla Rizzoli-Corriere della sera, infatti, sarebbero state parte di uno stesso disegno politico-finanziario, che qualcuno non mancò allora di battezzare come la bicamerale della finanza. Secondo Dario Di Vico, vicedirettore del Corriere, vi sarebbe stato addirittura un unico “filo rosso” che andava dall’opa Telecom di Roberto Colaninno (c’era Gnutti anche lì, del resto, e vi pare poco?) fino alle scalate del 2005.
Questo è l’inizio. Nell’estate del 2005 parte la campagna di stampa, con le intercettazioni che cominciano ad affluire su tutti i giornali. L’accusa, per tutti i diversi protagonisti delle scalate summenzionate, non è cosa da poco: associazione a delinquere volta ad aggirare il mercato, muovendosi tutti i protagonisti di concerto tra loro, e commettendo in pratica tutti i reati finanziari che è possibile commettere.
Giovanni Consorte ha sempre sostenuto di non aver concertato un bel nulla. E a sostegno della sua tesi ha portato pile di documenti (li trovate nel suo sito, www.giovanniconsorte.it) che testimoniano come la sua Unipol non abbia partecipato in alcun modo né alla scalata tentata da Fiorani su Antonveneta né a quella tentata da Ricucci su Rcs. E dopo quasi due anni di indagini, ancora attendiamo di sapere dove sarebbero non diciamo le prove, ma almeno gli indizi di un simile concerto. Non solo. Consorte ha anche esibito prova documentale del fatto che nella finanziaria di Gnutti – la celebre Hopa – egli stesso si è opposto a che questa partecipasse alla scalata di Fiorani, e con la sua opposizione lo ha impedito. E ancora: fino al giugno del 2005, per tutelare l’investimento in Bnl-Vita, Consorte tenta tutte le strade possibili, compreso un accordo con il Banco di Bilbao. Il che dimostra che fino a quella data a tutto pensava (e lavorava) meno che a scalare la Bnl, ragion per cui il concerto con la scalata ad Antonveneta non sta in piedi, per il semplice motivo che non coincidono i tempi.
Potremmo continuare a lungo, ma sappiamo già che è inutile. La nuova ondata di intercettazioni sommergerà ancora una volta il dibattito pubblico, “permettendo di comprendere e valutare meglio responsabilità, intrecci tra politica e affari, connivenze riprovevoli”. A quasi due anni dall’inizio delle indagini, con i capi d’accusa contro Consorte che cadono uno dopo l’altro, cosa vi aspettavate? Ormai lo capivano anche i sassi, come e perché è stata fermata la scalata di Unipol. E che cosa è successo al Corriere della sera, alla Rcs e al vertice di Telecom Italia (nel caso foste gli unici a non averlo capito, Massimo Mucchetti ci ha scritto sopra un libro – e qui ne trovate un’ampia recensione).
Nei prossimi giorni i testi integrali delle intercettazioni verranno consegnati agli avvocati e, di conseguenza, diventeranno pubblici, come scrive Fabio Tamburini sul Sole 24 Ore. A questo è ridotto il quotidiano della Confindustria. “Permettendo di comprendere e valutare meglio responsabilità, intrecci tra politica e affari, connivenze riprovevoli. E forse trasformandosi in pena mediatica per chi, pur non avendo commesso reati, ha avuto comportamenti discutibili”. Grande attesa.