Quando Ovidio, tra il 20 a.C. e l’8 d.C., pubblicò le Heroides (Epistulae heroidum, Lettere di eroine) il mondo non era ancora pronto. Si trattava di un genere letterario quasi integralmente nuovo: una serie di ventuno lettere immaginarie in cui alcune delle più celebri eroine della mitologia scrivevano al proprio amante lamentando torti subiti, dignità offese, abbandoni e veri e propri tradimenti. In tre casi c’è anche la risposta dell’uomo amato che, con abbondante e studiata retorica, spiega alla sventurata le proprie ragioni e i propri sentimenti. Quelle lettere sono allo stesso tempo raffinatissime variazioni letterarie svolte intorno al tema della lettera dell’amante delusa e gioielli di psicologia per la profondità alla quale scandagliano le pieghe più nascoste dell’animo umano. In una parola: capolavori. Ma nel I secolo il mondo non era ancora pronto e nei manuali di letteratura latina le Heroides sono spesso finite nel paragrafo delle opere minori, tra gli scritti di pura erudizione.
Poi il mondo ha inventato i reality show, Veronica Lario ha scritto una lettera a Repubblica e la società italiana è stata pronta per il ritorno del grande genere letterario inventato da Ovidio: l’epistola fittizia tra amanti. Scriviamo “epistola fittizia” riferendoci sia a quelle di Ovidio sia a quelle di Veronica e Silvio, ma avremmo potuto scrivere indifferentemente “artefatta”, “verosimile”, o perfino, volendoci fingere anime belle, “vera” e “autentica”; perché la scelta di questo o quell’aggettivo non fa in realtà alcuna differenza; perché chiedersi se quelle lettere le abbiano scritte davvero Veronica e Silvio, se corrispondano ai loro reali sentimenti è come chiedersi se gli antichi credessero agli amori degli eroi della loro mitologia o se Enea avesse davvero abbandonato Didone e Teseo Arianna. Riferito alla mitologia degli antichi, il verbo “credere” è anzi del tutto inadeguato e arbitrario, e parlando dei pagani dovremmo piuttosto sostituire quel “credere agli dei” con “pensare il mondo”. Insomma, chiedersi se i pagani credessero agli dei e ai loro amori, o se la lettera di Ovidio rispecchiasse i sentimenti di Medea verso Giasone equivale a domandarsi se quello che accade nella casa del Grande Fratello sia reale o piuttosto frutto della fantasia e dell’abilità degli autori. Che importa? Nulla. Non importa nulla giacché il punto non è questo. E il punto è invece che quello che accade nel Grande Fratello, sull’Isola dei Famosi, o nel carteggio tra Veronica e Silvio è il modo in cui noi pensiamo il nostro mondo, è il nostro immaginario collettivo come l’Iliade lo era di un greco dell’età classica. E tanto basta. E che quelle splendide lettere siano state vergate dalla mano emozionata degli amanti o da un abilissimo ghost writer nulla toglie né aggiunge al loro significato.
Ecco quello che non ha colto chi ha criticato il lavacro pubblico degli sporchi panni di famiglia o l’ha liquidato come la trovata di uno sgamato ufficio stampa; e non è neanche la vecchia storia che il privato è politico, che pure qualcuno ha provato a rispolverare con poca fantasia. L’importanza del più attuale dei reality, della vicenda di Veronica e Silvio, sta nell’aver dettato al nostro immaginario collettivo la nuova linea dei rapporti di coppia e del loro manifestarsi in pubblico: alle relazioni sentimentali postmoderne, gravate da due secoli di romanticismo ormai declinato esclusivamente attraverso stanchi stereotipi, può ora aggiungersi la dimensione dell’amore come gioco intellettualistico e letterario; dimensione non più fatua ed elitaria, ma autentica e democratica, se Veronica Lario può pretendere – e ottenere – le scuse pubbliche del più ricco uomo politico italiano e lo stesso può fare la moglie di un insegnante di liceo. A noi non resta che prendere atto del rinnovamento, rivendicarne anzi un poco la paternità ed inserirlo finalmente nel novero delle scelte e dei comportamenti socialmente condivisi.
E poiché – ormai lo sappiamo – nulla è più reale, concreto e influente del nostro immaginario collettivo, tutti noi da oggi potremo pretendere pubbliche scuse non avendone ricevute privatamente senza dover ricorrere al precedente erudito di Ovidio, senza dover richiamare alla mente vaghissimi ricordi di liceo, ma avendo dalla nostra l’exemplum ben più vicino, saldo e spendibile di Veronica e Silvio.