Il pontefice Benedetto XVI ai nunzi apostolici dell’America Latina dice che “la famiglia mostra segni di cedimento sotto la pressione di lobby che hanno la capacità di incidere sui processi legislativi”. Analizziamo questa frase e il contesto in cui è stata pronunciata. Pensiamo agli interlocutori del Papa, agli ambasciatori sudamericani, a come avrebbero potuto incarnare quella sentenza nella vita dei loro paesi, dove non la legge ma il costume porta molte donne a essere mogli di molti mariti e madri di molti figli, ognuno di un uomo diverso.
Viene in mente il Brasile, e tanti altri paesi in cui degrado e disagio sociale, ignoranza e povertà portano le donne alla rassegnazione e al fatalismo, a subire l’uomo come male necessario, a subire la nascita di un bambino come conseguenza inevitabile di una relazione finta, non autentica. E’ così che molti bambini che nascono senza una vera famiglia, già tra i quattro e i sei anni si trovano in strada, a costituire bande para criminali. L’America Latina è il continente campione di questi fenomeni. Viene quindi da domandarsi: nel suo discorso ai nunzi latinoamericani il Papa aveva forse in mente questo stato di cose? Nello sfascio della famiglia sudamericana quali sarebbero le “lobby” coinvolte e quali i “processi legislativi”? Sono ovviamente domande formulate per scherzo. Si sa infatti chi fossero i destinatari della succitata sentenza del Papa. Colpisce però che invece di utilizzare quell’occasione per parlare a una platea continentale di oltre quattrocento milioni di persone, il Papa abbia voluto lanciare un messaggio di mobilitazione su una vicenda marginale che riguarda un solo paese. Chissà, forse in Vaticano si è rivalutata la dottrina staliniana; dopo l’annuncio urbi et orbi della buona novella, dopo quello che potrebbe definirsi l’internazionalismo trotzkista wojtyliano, e che in gergo tecnico si chiama “ecumenismo”, si è passati a una nuova dottrina: “il cattolicesimo in un paese solo”. E questo paese, manco a dirlo, è l’Italia.
L’Europa è data ormai per persa, consegnata definitivamente al relativismo. Negli Stati Uniti è impossibile sostituirsi al conservatorismo dei protestanti. L’America Latina è il continente della lussuria. Non resta che l’Italia, alla Santa Sede, per provare a esercitare ancora una qualche forma di egemonia.
Il disegno di legge sui Diritti e doveri dei Conviventi (Dico) è così diventato la linea del Piave di un grandioso conflitto di civiltà. Da una parte la Chiesa, dall’altra il relativismo etico. Il paradosso è che questo conflitto, che non esiste nella società, si vuole farlo vivere nel parlamento. Riprendiamo la frase con cui abbiamo cominciato: “la famiglia mostra segni di cedimento sotto la pressione di lobby che hanno la capacità di incidere sui processi legislativi”. Viene in mente in proposito un pensiero di Arturo Carlo Jemolo: “la famiglia è un’isola che l’oceano del diritto può soltanto lambire”. Nella storia, i processi legislativi seguono e non precedono i “processi sociali”. Non è quindi questo disegno di legge a creare le coppie di fatto, sono le coppie di fatto a imporsi come fenomeno culturale e sociale. E questo è vero ancora di più se si guarda al passato. Fu una legge a istituire nell’Ottocento, con grande disappunto della Chiesa peraltro (caddero alcuni governi), il matrimonio civile, ma è altrettanto vero che la società si era laicizzata e diversificata a tal punto che non poteva più riconoscere come matrimonio solo quello religioso.
E’ giunto il tempo di interrogarsi sulle ragioni di questo progressivo distacco dall’istituto matrimoniale, sia esso civile o religioso. Il matrimonio è visto sempre di più come l’istituto dell’ipocrisia, della finzione, della promessa impossibile da mantenere. La scelta della convivenza, invece, può apparire come lo strumento più responsabile e più umile per cominciare a percorrere una strada insieme, per testare la fattibilità di un progetto di vita a due. Avviare una convivenza significa intraprendere la politica dei piccoli passi, costruire dal basso, giorno per giorno, nella concretezza e nella quotidianità. Nulla vieta, anche con il nuovo disegno di legge, di celebrare poi questo legame con il passo “definitivo”.
Se “la famiglia mostra segni di cedimento” in virtù di questo intervento legislativo, allora assomiglia davvero alla casa fondata sulla sabbia. C’è una sostanza nella vita sociale che le leggi possono non cogliere, ma che la Chiesa per la sua missione e presenza dovrebbe riconoscere. Nella crescita delle convivenze potrebbe leggersi proprio una nuova forza, un nuovo vigore della cultura della relazione, che non è la cultura del relativismo e che assomiglia piuttosto all’abitudine cristiana di pensarsi non da soli ma in comunione con gli altri. Su quanto poi questa “comunione” possa essere stabile, questo non dipende certamente dalle norme sottoscritte, ma dalla sostanza della relazione tra le persone. Non possono i “processi legislativi” incidere più di tanto nella sostanza e nella stabilità delle relazioni. Tanto meno possono farlo le lobby. Solo la capacità di incidere sui processi sociali e culturali, e non “la capacità di incidere nei processi legislativi”, può ridare alla famiglia quella centralità e quel primato che per la Chiesa sembra oggi mostrare “segni di cedimento”. E’ un grande lavoro per i cristiani. E innanzi tutto per quei cristiani che prima di dare o non dare il voto a una legge, dovrebbero per lo meno dare l’esempio.