Chiunque sostenga che quello della fiction sia solo un universo parallelo e superficiale, in cui si rifugia chi voglia sfuggire alla triste pochezza della realtà, probabilmente non ha idea di quanti e quali dispiaceri un piccolo e fedele spettatore sia talvolta costretto a subire. In queste settimane sono arrivate dall’America notizie sconfortanti per gente come noi, che guarda con grande rispetto ad alcune tra le più importanti conquiste raggiunte da quella grande democrazia. Cose, per intenderci, come le serie televisive. Il fatto è che mentre da noi si scoprivano covi di brigatisti intenti a rinverdire ideologie che avrebbero dovuto essere cancellate dal palinsesto da almeno un paio di decenni, da oltre oceano arrivavano novità ben più sconcertanti. Pare, infatti, che i misteriosi teoremi di Lost non facciano più molta presa sul popolo dei fedelissimi, che il nostro unico guru di riferimento non abbia più alcun seguito, e che pure Jack Bauer non si senta tanto bene.
Per quanto riguarda Lost non saremo certo noi a stupirci, noi che abbiamo iniziato a nutrire perplessità già da tempo, per la precisione da quando sono apparsi i finti dinosauri assieme agli orsi bianchi, cosa che peraltro accadeva intorno alla seconda puntata della serie. Ma non ci sfugge che il calo di spettatori, e in particolare il malumore che sta serpeggiando nella base, sia principalmente un dato politico. E’ solo che non siamo sicuri di quale sia esattamente il suo significato. Se, infatti, come dicono quelli che sanno le cose, la colpa è del fatto che gli americani sono un popolo dalla memoria corta, forse al punto in cui siamo dovremmo dedurne che questa memoria non superi le cinquanta puntate. Il che – come ben si capisce – offre una miriade di nuove interpretazioni sulla politica americana, a cominciare dalla rielezione di Bush. Ma se invece, con il pragmatismo che spesso li contraddistingue, alla cinquantaseiesima puntata fossero ancora lì a chiedersi cosa c’entri l’orso polare con gli anelli di fumo e il salto nel tempo (ma sarà poi un salto del tempo, o piuttosto un sogno, o un’allucinazione? Nessuno è ancora in grado di dirlo) e quindi cominciassero a nutrire veramente dei sani e salutari dubbi in proposito? In tal caso non dovremmo forse dedurne che in quanto al rapporto con la storia abbiano dimostrato un approccio ben più maturo e razionale di noi, almeno negli ultimi decenni? Di certo, nessuno si degnerà di dirimere la questione, né di intavolare un dibattito sui giornali, che sono fin troppo occupati a decidere se i Dico rovinino la famiglia o la rovinino moltissimo. Noi, però, tendiamo a nutrire una certa fiducia verso una nazione che in una delle stagioni televisive meno prolifiche riesce a sfornare uno dopo l’altro Heroes, Studio 60 e Ugly Betty. Ma se questa fiducia è ben riposta, come dobbiamo porci rispetto al fatto che gli stessi telespettatori hanno ripetutamente mostrato di snobbare Studio 60, l’ultima creatura di Aaron Sorkin? Quale linea dovremmo tenere dinanzi al fatto che quegli stessi spettatori ne abbiano decretato la temporanea – forse definitiva – sospensione, rivelando tra l’altro un’odiosa quanto incomprensibile ingratitudine verso l’uomo che ha regalato loro il miglior presidente di tutti i tempi, il presidente Bartlet? Siccome siamo cresciute a Beverly Hills 90210 non utilizzeremo nessuno degli argomenti tanto cari a quelli che sanno analizzare la politica e che vedrebbero l’America profonda vincere ancora una volta sull’Altra America, l’America impegnata e raffinata, sensibile e democratica. Ma confessiamo di aver sentito un po’ la mancanza di una lettera di Veronica a indicarci la strada. Comunque, la situazione era già triste e disperatissima quando il New Yorker ci ha fatto sapere che anche Jack Bauer commette degli errori. Va detto che un paio di volte il dubbio era venuto anche a noi, in genere intorno alla ventitreesima ora di ogni stagione, ossia un minuto prima che Jack salvi l’America e il mondo intero. Ma quello che proprio non ci aspettavamo era che una delegazione di esperti del campo, tra i quali il direttore dell’accademia militare di West Point, l’esponente di un’organizzazione per i diritti dell’uomo e tre – dicasi tre – tra i più preparati agenti specializzati in interrogatori fosse andata a parlare con Bauer in persona, o per meglio dire con i suoi autori. Ora, tra tutte le cose buone e giuste osservate dai militari a proposito dei metodi giusto un tantino sbrigativi a cui Jack a volte ricorre – del tutto contro la sua volontà, e probabilmente costretto dagli anelli di fumo dell’isola di Lost – quella che sicuramente ha colpito la nostra immaginazione è che le torture perpetrate dall’incolpevole Jack siano poco realistiche. E troppo brevi. Perché a quanto pare le confessioni il povero Jack le ottiene troppo facilmente, e la cosa rischia di illudere i militari che lo fanno per lavoro. Lasciamo ad altri zelanti commentatori l’analisi di tutta la faccenda sul piano etico. Noi sappiamo solo che il gruppetto di volenterosi militari si è anche preoccupato di offrire agli sceneggiatori una lista di metodi di tortura “alternativi” (non sia mai che si comprometta lo spettacolo), e che sulla scorta dei suggerimenti proposti – ci è parso di capire – il dibattito pubblico si sia concentrato nello stabilire se la durata delle torture in 24 dovesse essere lunga o molto lunga. E per un attimo abbiamo pensato che quasi quasi fosse meglio tenersi Ruini.