E’ in momenti come questi, di totale insofferenza per la realtà che ci circonda, soprattutto se si manifesta sotto forma di senatori del centrosinistra, che ci aggrappiamo ai nostri punti di riferimento. Deve essere per questo che quando abbiamo sentito Prodi parlare di “slancio rinnovato” e Fassino assicurare che stavolta hanno tutti i voti necessari, proprio tutti, pronunciando queste parole con compita serenità, ci è tornato in mente West Wing. Non abbiamo pensato, come il resto del paese, che solo qualche giorno prima al Senato avevano mostrato la stessa pacata sicurezza, un secondo prima che la mozione sulla politica estera fosse bocciata per due miseri voti. Non abbiamo pensato che avevano mostrato lo stesso cauto ottimismo giusto un attimo prima che i senatori Turigliatto e Rossi entrassero inopinatamente nella storia del nostro paese. E non abbiamo nemmeno ripensato a quella notte del 2004, la notte delle elezioni europee e della lista unitaria, la notte in cui Fassino gridava ai microfoni di chiunque gli passasse accanto che loro avevano altri dati, che lui aveva altri dati (dati che evidentemente mai sono arrivati all’opinione pubblica).
Mentre, sfidando la logica e finanche la semplice aritmetica, cercavano di convincerci a stare tranquilli, noi abbiamo pensato a Toby Ziegler, alla sua martellante ossessione per “the tempting fate”, all’inflessibile disciplina con cui costrinse l’intero staff a non proferire parola fino al raggiungimento dell’ultimo voto utile. Perché il problema di questo governo non è che si trova di fronte a sfide – obiettivamente – impossibili e nemmeno che – obiettivamente – non le sappia gestire. Il problema di questa classe dirigente è che si ostina a non seguire i nostri consigli. Altrimenti a quest’ora saprebbero a memoria almeno i primi dieci minuti di “Sei riunioni prima di pranzo”, che poi è esattamente come la regina diceva ad Alice che si può credere fino a “sei cose impossibili prima di colazione”, ossia all’incirca quel che deve essere passato nella testa di D’Alema mercoledì mattina. Dunque, è chiaro che i nostri punti di riferimento stanno cercando di dirci qualcosa e quel qualcosa è che non si deve mai e poi mai sfidare il destino cinico e baro. E se ciò non bastasse, a mettere la parola definitiva sulla questione sono le stesse parole di Toby: “These things take patience. These things take skill. These things take luck. In the 15 months we’ve been in office, what kind of luck have we had, Ginger?”, e la segretaria disciplinatamente: “Bad luck”, e Toby: “What kind of luck?”, e allora lei: “Very bad luck”. Ora, “very bad luck” sarebbe una definizione piuttosto riduttiva per descrivere gli ultimi nove mesi del governo Prodi, a cominciare da quell’angosciante notte delle elezioni, ma di certo se una cosa del genere può accadere all’amministrazione Bartlet non c’è da stupirsi che accada al governo Prodi. Senza contare che andare sotto di qualche voto può capitare a qualunque governo, figuriamoci a questo. A riprova dell’assunto, in “Cinque voti in meno” l’amministrazione Bartlet rischia di andare sotto di cinque voti su un importante disegno di legge (facciamo notare: siamo a due votazioni sfigate su due, e loro non hanno nemmeno i Dico di cui preoccuparsi). Dunque, se è vero che l’amministrazione Bartlet può esistere solo nel migliore dei mondi possibili, forse dovremmo cominciare a considerare l’eventualità che nel migliore dei mondi possibili esistano anche senatori Turigliatto e Rossi (o chi per loro). E a questo punto, per evitare l’esaurimento nervoso (invece di far sottoscrivere alla coalizione quei dodici inutili punti, di cui presto – e senz’altro prima di mercoledì prossimo – nessuno se ne ricorderà uno), non rimane che far mandare a memoria l’unica e semplicissima frase con cui Leo McGarry risponde al senatore dissidente che lo accusa di non tenere in cima alla sua lista di priorità la pace nel mondo e tante altre cose belle, ma solo l’autorità della Casa Bianca: “If the White House isn’t strong, it doesn’t really matter what number 2 on my list is”.