Prodi ne è chiaramente infastidito, Del Noce ha cercato di ostacolarlo in ogni modo, Veltroni non dice nulla, ma sotto sotto lo teme anche lui. Ormai è chiaro a tutti, e l’hanno capito persino loro, anche se fanno finta di niente. Pippo Baudo vuole diventare il nuovo leader del centrosinistra. Anzi, probabilmente lo è già diventato. D’altronde a cosa gli servirebbero le investiture politiche, l’appoggio dei partiti, il plebiscito delle primarie? Lui ha Sanremo. Lui è Sanremo, nel senso che ne è l’incarnazione più autentica, e Sanremo è l’Italia. Lui che con i suoi settant’anni, con Sanremo e l’Italia, è in perfetta sintonia (e non per il mancato ricambio generazionale, per carità, ma per la bolla spazio temporale nella quale siamo imprigionati). Non poteva che essere Sanremo, dunque, il momento in cui rompeva finalmente gli indugi e redarguiva la politica tutta, capo del governo in testa. Si comincia dalle sue competenze specifiche, Rai e riforma Gentiloni, e poi via, si spazia su tutto il resto. Gli osservatori più attenti, va detto, lo sospettavano già da qualche settimana. Da quando, per la precisione, Baudo aveva fatto il suo primo intervento da leader di riferimento. E l’aveva fatto, naturalmente, nella sede più consona: dalla Ventura. Era intervenuto per telefono sui fatti di Catania, aveva prima criticato la scelta di non sospendere la processione per la patrona Sant’Agata, per poi arrivare a dire che il papa ne avrebbe dovuto parlare durante l’Angelus, invece di soffermarsi su pacs ed eutanasia. Di fatto aveva dettato non solo l’agenda del paese, ma pure quella del Vaticano. E si era conquistato in un colpo solo un’importante fetta di consensi a sinistra. Ma come ogni serio leader di riferimento sa bene, la battaglia più difficile è quella che si fa al centro, dove ognuno è sempre più di centro dell’altro, dove c’è molta più concorrenza. Ma chi può essere più di centro dell’uomo nazional-popolare per eccellenza? Senza contare che quest’uomo si apprestava a condurre per la dodicesima volta il Festival di Sanremo, una roba che quando va davvero male è seguita ogni sera da dieci milioni di telespettatori.
Ora, ai più ingenui la partita poteva sembrare semplice, perché in fondo Pippo giocava in casa. Ma Sanremo è una selva di trabocchetti nascosti, tra i quali la presenza molesta del direttore di rete (che è riuscito nell’impresa non facile di sconfessarlo in corsa molteplici volte in molteplici modi) è solo il più evidente. Tutti sanno che Sanremo è sempre uguale a se stesso e che ogni anno non può che essere sempre uguale a se stesso. Nonostante ciò, ogni edizione sembra condannata a dover superare quelle precedenti, che è un po’ come cercare di lasciare il segno con una maggioranza di due senatori. Forse per questo Prodi diffida di lui e tuona contro il malcostume dei compensi troppo alti, che se potesse – ma non può, perchè Sanremo è Sanremo – si guarderebbe bene dal pagare. Perciò gli ingenui gli lasciano condurre il suo festival di canzonette e Pippo non si lascia sfuggire l’occasione. Con una mano confeziona il solito festival che fa da cento anni, con l’altra mette insieme una manciata di canzoni, che va dalla famiglia Facchinetti, passa per Albano e arriva a Simone Cristicchi, e fa gridare tutti alla “grande novità del festival delle canzoni impegnate”. Ma naturalmente a Baudo non basta e riesce in un capolavoro politico, che le nostre classi dirigenti da anni si sognano. Riesce a far vincere, sia nella sezione Giovani che in quella dei Big, alla stessa canzone il Festival e il Premio della Critica, che è un po’ come far votare alla Binetti e Turigliatto la stessa mozione della maggioranza. E’ a quel punto, intorno all’una di sabato notte, mentre Cristicchi intonava “Ti regalerò una rosa”, che il suo disegno politico ci è apparso chiaro. Ma la situazione non aveva ancora finito di evolvere. D’altra parte la vita dei leader di riferimento è densa di impegni e il giorno dopo c’è un intero pomeriggio di Domenica In da condurre. E infatti, con un Sanremo da trionfatore in tasca, Pippo ne ha per tutti e una dopo l’altra inanella una risposta secca per Del Noce, una critica alla riforma Gentiloni e una ramanzina pure per il governo. Ma poi torna sul palco dell’Ariston e fa quel che il paese si aspetta dal lui. Si rivolge ai politici che ormai sgomitano nelle agenzie e dice: “So che stanno uscendo agenzie, politici a favore del festival, politici contro. Politici che s’interessano tanto delle canzoni. Siate seri, occupatevi dei problemi della gente, basta questa divisione. Qui c’è un paese che ha bisogno della concordia”. Pippo Baudo invita alla concordia. Fosse il presidente della Repubblica a dirlo, sembrerebbe quasi meno autorevole. E finalmente il messaggio arriva forte e chiaro anche ai più duri di orecchie, ma ormai è troppo tardi e accalcarsi alle agenzie non servirà più a nulla. Così, quando si scusa per lo sfogo e chiude la trasmissione con un vibrante “Viva la Rai”, per lui è un vero trionfo. I telegiornali delle 20 non fanno che parlare di lui. E ai poveri politici di destra e di sinistra con velleità di leadership non rimane che prenderne atto. Per questo quando Gianni Riotta, a tarda notte, chiude il suo Tv7 azzardando la battuta “stasera abbiamo interpellato tutti i grandi politologi tranne uno, Pippo Baudo”, il paese che ha studiato si aspetta in chiusura proprio l’intervista a lui, a Baudo. Ma l’intervista non c’è. Pippo non c’è. E’ troppo tardi persino per Riotta. Pippo ormai è lontano, un puntino nero all’orizzonte, al comando di questo paese.