Ho avuto l’illuminazione venerdì sera, quando l’abituale pisolo davanti alle Invasioni barbariche è stato interrotto dall’apparizione di Daniele Silvestri, che è sempre tanto un bel giovane e merita ogni attenzione. Il problema – ha detto Silvestri a un certo punto – è che si è Abbassato il Livello del Dibattito. In Italia, certo, diceva lui. Ma io pensavo: soprattutto sui giornali scandalistici. Perché la questione non è (solo) che non c’è uno Star System adeguato al corrente millennio, come già doviziosamente teorizzato dai cultori della materia. È che è piuttosto imbarazzante venire a sapere che c’è gente che paga per non veder pubblicate le proprie foto. Per dire: se Kate Moss fosse stata dello stesso avviso e avesse ceduto a un – improbabile, invero – ricatto, non avremmo mai saputo di quel giorno di ordinaria cocaina che ci ha tenuti indaffarati per mesi, e lei sarebbe ancora e soltanto la più elegante delle modelle troppo magre. Invece, dopo aver firmato contratti a dozzine, Kate Moss questo mese è per l’ennesima volta sulla copertina del Vogue d’Inghilterra. Parla – addirittura – e presenta la collezione che ha disegnato per Topshop (nei negozi il primo maggio, le groupie più affezionate hanno già prenotato l’aereo per Londra). Ormai è chiaro persino ai proibizionisti più saccenti: professionalmente quella è stata una formidabile mossa.
Il problema qui, invece, è che abbiamo Francesco Coco fotografato (si dice) in compagnia di – cielo – un altro uomo. Ma no, risponde lui, ma quale uomo. Era una ragazza, al più bruttina. D’altra parte, lui è un sincero democratico e concede: “Non è che devono essere tutte bellissime”. Che sollievo. In quell’occasione Galliani mise il cipiglio da genitore severo: pagò per mantenere immacolato il curriculum dello sciupa-solo-femmine ma poi detrasse il disturbo dal suo stipendio di milanista. E chissà se anche Barbara ha avuto una trattenuta sulla paghetta, quando papà Berlusconi ha dovuto toglierla dall’imbarazzo di foto che – sostiene – non avevano nulla di compromettente. Erano soltanto “brutte”. La cosa davvero grave, insomma, è che io riesca a credere senza eccessivo sforzo alla sostanziale innocenza della ragazzina. Perché nessuno qui – no, neanche Sircana – mi pare all’altezza di uno scandalo da professionista. Basta tener sempre presente Silvia Abbate, la biondina de La Pupa e il Secchione che si è fatta chiamare Paris Hilton per tre mesi e poi è crollata di nervi: essere svampite è un lavoro a tempo pieno, molto più riposante dare alla luce cuccioli di giovane imprenditore. E accettare che la storia – ma anche solo la didascalia – la scriva chi sa.
L’unico che sembra avere una vaga idea di quale sia il comportamento richiesto a un divo sbruffone in questi frangenti è Fabrizio Corona. La faccia da calciatore, i modi da consumato habitué: si narra che, interrogato, si sia girato e abbia chiesto un caffé. E siccome – come le debuttanti sanno da sempre – l’ingresso è metà dell’impressione, prima di farsi vedere in tribunale Corona si cambia e indossa la maglietta dell’agenzia. Ci tiene a certe cose, lui. Ormai nella leggenda, arriva in carcere e subito s’informa su dove sia la palestra. Corona è del mestiere, non tralascia alcun dettaglio: ha un esercito di scugnizzi che lo difende (“è un grande imprenditore, una grande persona e lo stanno trattando tutti come se fosse Hitler”), un figlio che si chiama Carlos Maria, una moglie bellissima incontrata su un aereo che per telefono minaccia rappresaglie divorziste. Corona è un supereroe: nessuno l’ha visto, nessuno l’ha sentito di recente. È un “misto di cinismo e ingenuità”. E colleziona foto – ciniche e ingenue– in una bat-caverna segreta a viale Monza. Ma nessuno è stato mai veramente ricattato, ancora. Nessuno ha mai davvero comprato qualche cosa direttamente da lui. Corona forse neanche esiste, è solo un logo su una maglietta. Ed era di gran moda, fino a un attimo fa.