343.000 abitanti, affacciata sulla costa, principale centro economico della sua regione, centro ferroviario, portuale e industriale, sede di Università e di un’importante fiera annuale, tra il XII e il XIII secolo subì la dominazione dei Normanni e degli Svevi. Potrebbe anche essere Stavanger, Norvegia – invece è Bari, Italia. Dal capoluogo pugliese arriva il death/black metal dei Golem, il cui atto di nascita riporta Aprile 1999 come data: componenti originali sono i chitarristi Ottavio Marzo e Luca Roberti, il bassista Alex Martiradonna e il batterista Damiano Porcelli (gli ultimi due provenienti dai Fearland); dopo pochi mesi Roberti viene sostituito da Nicola Esposito (altro ex-Fearland) che manterrà il ruolo di chitarrista sino al 2001, quando lascerà la band per rientrarvi come vocalist. Con i cambi tra Martiradonna e Domenico Bottalico al basso nel 2000 e l’arrivo del nuovo chitarrista Matteo De Bellis al posto di Esposito si completa la formazione che firma il primo full-lenght vero e proprio, il recente “Black Era” (2006). In precedenza, la strada dei Golem si era snodata lungo un promo e un demo (“Flames Of Wrath”) dello stesso anno (2000), seguiti dal mini-cd “Death Never Dies” (2002) e da “Death In Progress” (2004), quest’ultimo un cd promozionale diretto in esclusiva alle case discografiche. “Death Never Dies” ottiene un buon riscontro critico tanto sulle riviste (Metal Hammer e Rock Hard in prima fila) quanto nei siti specializzati (“Best Demo” per Metal Kingdom e Metal To Fill).
Che un gruppo italiano dimostri grandi capacità tecniche, vocali e padronanza in un genere non strettamente mediterraneo non dovrebbe più stupire: esiste e si consolida una scena metal italiana, apprezzata tuttavia soprattutto all’estero. Nonostante le dimensioni assunte negli ultimi anni per numero di band e di appassionati, il metallo pesante è ancora un genere di nicchia, da sinistri iniziati; sussiste ancora, nel migliore dei casi, una certa diffidenza culturale verso questo genere. Aggiungendo al quadro i ristretti confini sonori disegnati ogni anno da quello che, con tutta l’ufficialità del caso, viene denominato Festival Della Musica Italiana; nonché il ruolo e il peso della Chiesa cattolica anche in termini di valori musicali (è dell’attuale Pontefice la gelida definizione: “Il Rock vuole liberare l’uomo da se stesso nell’evento di massa e nello sconvolgimento mediante il ritmo, il rumore e gli effetti luminosi”), la proposta dei Golem – gruppo tra i migliori della scena pugliese – è apprezzabile sotto diversi aspetti. Innanzitutto, per il coraggio: non ci sono, qui, ammiccamenti o concessioni ad atmosfere più morbide o immediatamente familiari, ogni traccia si muove nel solco del canone death; quindi, per il talento: “Black Era” conferma la buona impressione suscitata dai lavori precedenti, offrendo undici tracce compatte ma non monocordi, affilate al punto giusto grazie a un ottimo lavoro di squadra, guidate da un pregiato lavoro di chitarre senza sovrastare un’adeguata, incalzante sezione ritmica e un cupo canto in growl. La qualità del lavoro si mantiene costante dall’inizio alla fine e se proprio un punto debole si deve trovare, è nei testi: fedeli al canone death, forse fin troppo. Morte, distruzione e fato inesorabile vanno bene, ma alla luce delle origini del gruppo e di quanto detto sin qui, qualche riferimento alla realtà, anche metaforico, non guasterebbe – senza pretendere trattati di sociologia o digressioni esistenziali. Sotto il tallone della Penisola, comunque, ci sono più cose di quante non ne comprenda l’Istat. E la musica – questa musica che accomuna Bari a Oslo a Detroit – ne è un indizio.