Tutto torna. Questa è la legge fondamentale della politica italiana. Torna Enzo Biagi, con la sua intervista a Gherardo Colombo; torna Gino Strada, ultimo ospite di Michele Santoro, a sua volta da poco rientrato dall’esilio assieme a Marco Travaglio; torna Antonio Di Pietro, che continua da ministro la sua inesausta battaglia populista al fianco di Beppe Grillo. Senza dimenticare Dario Fo e Franca Rame, portata in parlamento proprio da Di Pietro, che assieme ai no global di Vicenza hanno dato un valido contributo alla prima crisi del governo Prodi. E ora Fabio Mussi e quel che resta del correntone diessino, intenti a prepararsi un’uscita in grande stile che alla fine, in fondo, non è che un altro grande ritorno. Soltanto ad Achille Occhetto, nonostante molti sforzi, proprio non riesce di tornare. Ma quello che poteva dare, Occhetto, ha già dato a suo tempo.
Li avete riconosciuti tutti? Sono gli anni Novanta e stanno tornando impetuosamente. Il biennio 2005-2006, infatti, con le inchieste sulle scalate bancarie e con le campagne di stampa sulla presunta questione morale che avrebbe investito la sinistra, non è stato altro che la replica farsesca del biennio 1992-93. A questo seguì la stagione delle grandi privatizzazioni, cominciando da Telecom; a quello segue il tentativo di svendere definitivamente agli americani la principale azienda del paese, da parte di Marco Tronchetti Provera. La storia si ripete, come si vede, e non è un bel vedere. Come diceva Aristotele nella Metafisica: “Non ci furono per un tempo infinito Caos o Notte, ma ci furono sempre le medesime cose, o ciclicamente o in qualche altro modo”.
La sinistra italiana sembra condannata a ripetere in eterno, ciclicamente o in qualche altro modo, l’errore compiuto nel ’92, quando si accodò alla retorica del nuovo che avanza, dietro alla procura di Milano, ai grandi giornali e a tutti i variopinti personaggi che cominciarono a popolarne la carovana. E oggi, come in un grande gioco dell’oca, si torna alla casella di partenza. Con Strada e Santoro, con Dario Fo e Beppe Grillo, con Di Pietro e Travaglio.
E’ il nuovo che è avanzato. Quel che resta del mercato home video della politica italiana: una litania sempre più sfocata di parole d’ordine in formato vhs. Vecchie registrazioni gracchianti ormai fuori mercato. Ma la battaglia politica contro il pacifismo irresponsabile e contro la gogna mediatico-giudiziaria andava fatta per tempo. La sinistra italiana ha scelto invece di alimentarla prima e di subirla passivamente poi. E altrettanto ha fatto con la retorica liberista che in questi quindici anni, sulle macerie della politica, antichi e illustri avversari non hanno avuto difficoltà a imporre nel dibattito pubblico.
Un giorno, forse, se mai il nostro paese riuscirà ad affrancarsi da tante interessate tutele, una nuova leva di intellettuali penserà a scrivere una “storia del nuovo” che racconti la verità su questi quindici anni. Giunti al punto in cui siamo, purtroppo, un simile compito non spetta più alla politica. Il Partito democratico è semplicemente l’ultima occasione perché quella storia possa finalmente concludersi e perché quella nuova generazione di storici da lì possa finalmente prendere le mosse. Invece che la via dell’esilio, in patria o all’estero, ancora una volta.