Il consueto editoriale sulla deprimente povertà culturale della politica italiana, sul Corriere della sera, sabato è stato affidato a Dario Di Vico. E così, in attesa che Luca Cordero di Montezemolo colmi questo vuoto d’intelletto e di cultura, Di Vico si fa forte dell’impietosa analisi di Giuseppe De Rita. Sulla sua scorta, il vicedirettore del Corriere ci spiega qual è il problema: i maggiori partiti, per quanto rinnovati, non riescono a presentarsi con “la densità tipica della cultura politica”, preferendo attingere più che altro “ai manuali di marketing”. Peccato che una così dura sentenza Di Vico la emetta in un denso editoriale in cui parla di “offerta politica” che “si va ristrutturando” (mentre, ovviamente, “a latitare sono i contenuti”); “lidi del Novecento” da lasciare (e per di più mentre sui riferimenti sociali “la confusione è sovrana”); “quotidiano ping pong” tra i leader (che naturalmente ritarda la necessaria “revisione del background culturale”); partiti che non riescono, accidenti, a diventare “produttori di contenuti”. Per quale incomprensibile forma di autocensura Di Vico non abbia però nemmeno menzionato, nella sua sacrosanta requisitoria, il grave problema delle mezze stagioni che non ci sono più e del governare che è un onore ma anche un onere, ecco, questo per noi rimane un vero mistero.