“In Deutschland bleibt die Mitte rot”, che in italiano suona: “In Germania il centro rimane rosso”. E’ lo slogan che, sullo sfondo di una grande bandiera tedesca, campeggia nel manifesto con cui l’Spd ha deciso di rispondere alla svolta centrista impressa da Angela Merkel al congresso di Hannover della Cdu. D’altronde, per il partito che con Schröder aveva rivendicato di essere il “nuovo centro” (un concetto peraltro già espresso da Brandt ai tempi del suo governo), l’ostentato richiamo al “centro” scelto dalla Merkel per compendiare il significato politico del suo congresso non poteva che apparire come una minacciosa invasione di campo. “Cari amici, il centro è qui. Qui, al centro, ci siamo noi – e solo noi”: ha scandito la cancelliera dinanzi ai delegati, e sia la sua relazione sia il nuovo “Programma fondamentale” approvato dalle assise (il terzo in 62 anni) hanno provveduto a tradurre lo slogan in una piattaforma politico-programmatica che archivia in modo inequivocabile non solo l’impianto liberista con cui la Merkel aveva impostato la campagna elettorale del 2005, ma anche il profilo (moderatamente) conservatore assunto dal partito durante la lunga era Kohl. “Impegno per la sicurezza sociale” perché “senza giustizia non c’è alcuna libertà”, inscindibilità del nesso tra individuo e società, “incrollabile fiducia nella giustizia sociale” contrapposta allo scandalo delle retribuzioni troppo alte dei manager, “precedenza al lavoro”, consapevolezza che l’idea che la globalizzazione imponga di lasciare l’economia “al libero gioco del mercato” è altrettanto vecchia e inservibile di quella, speculare, che la concepisce come una pericolosa minaccia da cui proteggersi innalzando barriere difensive. Certo il richiamo all’“economia sociale di mercato” e alle virtù del welfare e della “Mitbestimmung” (la cogestione delle imprese da parte dei sindacati) non è inconsueto nei programmi della Cdu, ma l’enfasi che il congresso di Hannover ha assegnato a tali temi rappresenta senza dubbio una novità. E’ vero che almeno una cosa di destra la Merkel l’ha detta, quando ha fatto approvare dai delegati (sia pure con una formulazione assai annacquata) la sua proposta di sostegno finanziario alle famiglie che non vogliono mandare i figli al nido, nonostante le proteste della “sinistra” interna (anche se secondo alcuni osservatori lo ha fatto soprattutto per non darla vinta al ministro della famiglia Ursula von der Leyen, che aveva ironizzato sulla possibile impennata di acquisti di televisori al plasma con i soldi destinati all’istruzione dei bambini). Ma assai più significativo è stato il determinante intervento con cui la Bundeskanzlerin ha favorito la vittoria sul filo di lana dei sì all’allungamento del periodo entro cui è possibile fare ricerca sugli embrioni (accogliendo così una richiesta dalla comunità scientifica tedesca cui si opponevano l’ala conservatrice della Cdu e la Chiesa cattolica). Ovviamente ci rendiamo conto che parlare di congressi in cui il voto di una platea di delegati eletti dagli iscritti orienta le scelte del governo del paese può apparire terribilmente retrò in un paese politicamente all’avanguardia come l’Italia, ma resisteremo alla tentazione di soffermarci su questo invidiabile corollario del “sistema tedesco” per concentrarci sul significato politico del congresso di Hannover.
Senza dubbio la “svolta al centro” della Cdu rappresenta anche un’intelligente mossa tattica volta a occupare lo spazio politico-elettorale lasciato libero dalla Spd dopo la sterzata a sinistra imposta da Beck al congresso del suo partito. Al tempo stesso, non ha torto chi, come lo “schröderiano” ministro del lavoro Scholz, vi vede la conferma della giustezza della linea della grande coalizione, che avrebbe di fatto consegnato l’egemonia alla Spd, consentendole d’imporre la propria agenda alla Cdu. Ma se la Merkel si spinge fino al punto di presentare il proprio partito come il vero garante dello stato sociale tedesco rispetto all’eccessiva severità di alcune riforme di Schröder è evidente che non siamo semplicemente di fronte a una sofisticata “guerra di posizione” tra Cdu e Spd, e che il congresso di Hannover costituisce il segnale inequivocabile di un vero e proprio cambio di fase che non riguarda solo la Germania, ma tutta l’Europa. Parlare di deriva protezionista, come qualcuno ha fatto accostando alle recenti posizioni di Hillary Clinton l’insistenza con cui la Merkel mette ora in guardia contro le insidie della finanza globale – e invoca l’introduzione di standard sociali nel commercio internazionale – ci sembra infondato. A Hannover, l’interesse a una crescente apertura dei mercati, da parte di un paese che è il principale esportatore di prodotti industriali del pianeta, era ben presente a tutti. Semmai, si è definitivamente affermata la consapevolezza che esiste un solo modo di evitare il circolo vizioso tra liberismo, populismo, protezionismo e nazionalismo: una forte interazione tra una politica attenta a salvaguardare l’apparato industriale e le infrastrutture strategiche nazionali da un lato, e dall’altro un welfare state universale capace di coniugare flessibilità e sicurezza. Un’interazione che a sua volta può realizzarsi solo nella cornice europea, ma di una “Europa delle nazioni” che superi l’ideologia federalista e la pratica funzionalista per realizzare un’integrazione governata dalla politica che non smarrisca, ma anzi valorizzi, lo spessore politico, culturale e storico delle sue componenti nazionali (appunto l’Europa del nuovo trattato di Lisbona, che costituisce senza dubbio il principale risultato internazionale del governo di grande coalizione tedesco).
Se insomma la svolta a destra della Cdu fu la conseguenza dell’egemonia neoconservatrice che, variamente declinata, ha caratterizzato l’ultimo venticinquennio, l’invocazione (e la concreta pratica) di un nuovo “centrismo riformatore” indica che forse quel ciclo si va chiudendo. E così come la Cdu di destra fu l’elemento centrale di un più generale riorientamento politico su scala continentale, che si manifestò nella trasformazione del Ppe in un partito conservatore e nel vuoto di egemonia che negli ultimi anni ha caratterizzato la politica europea, è evidente che lo spostamento al centro della Cdu non potrà non avere conseguenze fuori dalla Germania. Esso può anzi aiutarci a capire che dietro le forme contingenti che caratterizzano l’attuale convulsa fase politica italiana agiscono delle potenti spinte di fondo, che premono per l’archiviazione del bipolarismo della Seconda Repubblica. Un assetto rigido e inadeguato, perché fondato da un lato su una Cdl troppo sbilanciata a destra, e dall’altro su un’eccessiva fragilità politica e culturale del centrosinistra. Di qui la vera e propria “corsa al centro” che vede in competizione tra loro i partiti del centrodestra. E di qui, sul versante dell’Unione, la sempre più palese inattualità e insostenibilità della “cultura della Seconda Repubblica”, e la crescente difficoltà dei tentativi di “contenere” e depotenziare (interpretandolo nella chiave leaderistica, “debole” e “maggioritaria” tipica di quella stagione politica) la forza di un processo oggettivamente nazionale, popolare e democratico come quello che è alla base del Pd.