C’è qualcosa che si muove nell’universo della produzione italiana di cinema e televisione. Non sappiamo in quale direzione si voglia andare, non sappiamo a chi gioverà. Per di più, anche gli “addetti ai lavori” pare che non vogliano vedere, sentire, capire. O forse non vogliono parlarne in pubblico.
Vediamo di che si tratta. La notizia più eclatante di questi giorni, le intercettazioni telefoniche che coinvolgono il già responsabile di Rai Fiction e un noto imprenditore delle tv private, non parlano solo di ragazze raccomandate, ruoli scritti apposta, provini stracciati. Parlano anche (e soprattutto) dell’ingresso nel mondo della libera imprenditoria del massimo responsabile della produzione di contenuti della televisione di Stato. Cioè, chi fino a oggi decideva, produceva, promuoveva, passa dall’altra parte per produrre privatamente contenuti da fornire alle strutture per cui lavora/lavorava, e magari (ecco il bello delle telefonate) anche per l’altro competitor. Fatto di per sé non eclatante, se non avvenisse in un paese dove di competitor ce n’è talmente pochi che accaparrarsi con il potere di ieri il posto di lavoro per domani sembra più disdicevole che altrove.
Ma poi c’è un altro dato, di tutt’altra natura, di nessun rilievo etico/penale, che però ci lascia pensare ugualmente: Mediaset, che ha già incorporato la già collegata/controllata Medusa (produzione e distribuzione di film) si fonde con TaoDue, del bravissimo imprenditore privato Valsecchi, capace degli ascolti più alti e delle produzioni tra le più innovative e interessanti. Che peraltro agiva (agirà ancora?) indifferentemente nell’un campo e nell’altro. In perfetta legittimità, nell’invidia degli altri colleghi che per minore forza contrattuale devono fare atto di fedeltà imperitura verso uno dei due “forni”.
E poi. Sky, per tentare di bloccare politiche pubbliche di sostegno dell’industria dei contenuti italiana, offre l’ingresso nella produzione di fiction a produttori italiani. Gli dice male (pare, a oggi, dato che la finanziaria non ancora definitivamente passata dovrebbe sancirlo), ma intanto si è presentata sul mercato del possibile finanziamento di film e fiction, cosa finora presentata da Sky come un “male” da cui guardarsi bene. “Noi acquisteremo soltanto, e per di più dopo aver verificato il successo in sala”, questo l’adagio sostenuto dai suoi dirigenti fino a oggi con produttori e autori italiani.
E poi, nella finanziaria, appunto, dovrebbero passare norme che riscrivono la famosa legge 122 (obblighi di investimento nel cinema e nella fiction europei e italiani), allargando la platea di “contribuenti” e prevedendo, finalmente, anche obblighi di trasmissione, in fasce orarie “significative”. Questo, è ovvio, vorrà dire maggiori risorse e maggiore visibilità per i prodotti.
Tutte le normative, quelle in essere e quelle in divenire, prevedono particolare attenzione al prodotto realizzato da “produttori indipendenti”, dandone anche una definizione nuova per l’Italia, definendo cioè l’indipendenza come la non partecipazione in società legate ai broadcaster. La normativa europea, che considerava indipendenti produttori che non raggiungevano la maggior parte dei propri proventi con un’unica emittente televisiva, è sempre stata inapplicabile in Italia dove, per fare un esempio eclatante, la Sacher di Moretti non poteva essere considerata indipendente, visto che lavora soltanto con Rai.
E allora: stiamo avvicinandoci all’Eden? Il percorso è molto più complesso. E vedere che gli appetiti di certi politici e di certi imprenditori si riaffacciano nel finora snobbato panorama del cinema e della fiction italiane deve farci pensare. E deve farci pensare anche che una delle norme previste dalla finanziaria è il tanto auspicato “tax shelter”, da anni invocato da autori e produttori italiani, che dovrebbe convogliare finalmente soldi e menti freschi nell’incestuoso mondo del cinema italiano.
E allora facciamoci alcune domande. Per prima cosa: cosa vuol dire che Mediaset abbia al proprio interno due realtà importanti e vitali, Endemol e Tao Due? Dell’acquisizione di Endemol poco si è parlato, prevalentemente per collegarla alle sorti del Grande Fratello. Ma pochi hanno studiato l’impatto che la produzione in outsourcing di format, ma anche di serie e miniserie televisive, spesso fuori dai confini nazionali, comporta per autori e produttori indipendenti italiani. E ora che il maggiore e più stimolante produttore televisivo non è più, neanche per la lasca normativa europea, indipendente, che ne sarà della produzione di fiction? E se, come sembra, Valsecchi vuole rivolgersi anche, giustamente, al cinema, come verranno considerati i suoi prodotti? Concorreranno o no a formare le quote di cinema e tv indipendente previste dalla legge? Se no, come sarà la “catena ideativa” del cinema e della fiction targate oramai chiaramente e senza mediazioni Mediaset, cioè legate alla più grande televisione privata italiana? C’è materia per allertare la commissione antitrust del parlamento europeo?
Il posto vacante in Rai Fiction ci pone anche l’altro interrogativo: chi prenderà la scomoda poltrona? Ma soprattutto: per fare cosa? Con quali intenzioni? C’è, ci sarà una “riflessione” sul modo di pensare, selezionare, produrre storie italiane per il cinema e la tv da parte di quell’azienda che, forte di soldi pubblici, legata da un contratto di servizio vincolante quanto debolmente controllato, è tenuta a una produzione improntata al pluralismo, alla qualità, all’attenzione verso produttori e autori indipendenti? E tenuta, oramai, all’obbligo di trasmissione del cinema e della fiction italiana in fasce orarie di rispetto?
Ma c’è anche da pensare all’impegno Rai nel cinema. La società controllata Rai Cinema, dopo un altro tempestoso cambio di poltrone, non ha ancora pubblicamente presentato un piano editoriale. Però alcuni articoli dicono di una volontà di produrre circa 20/30 film l’anno (quindi di meno) e di non doverli necessariamente distribuire attraverso 01 Distribution, che invece fu creata apposta per accompagnare in sala il prodotto italiano imposto dalla famosa e mai tanto lodata legge 122. Formalmente si dice per stimolare la rinascita delle altre distribuzioni indipendenti. Ma una misura del genere, non supportata da una seria normativa di libero accesso al broadcaster (i diritti per Rai vengono acquistati esclusivamente da Rai Cinema…) non finirà per formalizzare l’esistenza del grande cinema commerciale targato Rai, e del cinema “difficile” da mandare allo sbaraglio?
Le domande sono molte. Le risposte, diceva il poeta e menestrello, are blowing in the wind. Ma che siamo in mezzo all’ennesimo guado è chiaro a tutti. Forse, ancora una volta, la chiave è nella cessione dei diritti, su cui tra l’altro sono nati gli scandali maggiori della politica italiana, da quando si giravano pubblicità in spiagge lontane per creare fondi all’estero. Se i produttori televisivi non dovessero cedere tutti i diritti alle tv, di fatto rimanendo appaltatori (e peraltro più sensibili alla raccomandazione di allegre attricette) e costringendo il prodotto italiano a rimanere nei confini della patria (chi ha interesse a esportare un prodotto che di fatto si ripaga già con la messa in onda in Italia?), forse la dialettica produttore/broadcaster ne guadagnerebbe. Se le tv ritornassero a essere distributori e non coproduttori (i vecchi ci raccontavano che i distributori di cinema con le loro cambiali hanno fato grande il nostro cinema, creando produttori che rischiavano), la dialettica produttore/broadcaster/distributore ne uscirebbe arricchita. E i produttori anche.
Purtroppo, quello che pesa ancora sulla definitiva rinascita e consolidamento del nuovo cinema italiano è la non risolta anomalia televisiva. Che peraltro fa danni anche maggiori fuori dal campo della produzione di storie che incantano la gente.