Mercoledì 5 marzo, l’edizione pomeridiana del Tg3 apre con la notizia degli operai morti sul lavoro a Molfetta, seguita dalla rimonta di Hillary Clinton su Barack Obama negli Stati Uniti e dalla polemica su Alitalia nel nostro paese, con Silvio Berlusconi che parla della necessità di mantenere una compagnia di bandiera e con Walter Veltroni che polemizza con lui perché “non si può essere liberisti a giorni alterni”. Tutti i maggiori quotidiani, lo stesso giorno, sono ancora pieni delle dichiarazioni rilasciate in diverse occasioni da Massimo Calearo, ex presidente di Federmeccanica e capolista del Pd in Veneto, a cominciare dalle sue lodi a “San Clemente” che ha fatto cadere il governo Prodi e dal suo auspicio che a nessuno venga in mente di “ripescare” Vincenzo Visco nelle liste del Partito democratico (tralasciamo per carità di patria le lodi al modo di condurre gli accertamenti fiscali in Slovacchia, con cui Calearo ha deliziato gli elettori del Pd sintonizzati su Ballarò).
Con tutte le attenzioni che si dedicano a sondaggi notoriamente inattendibili sui risultati del voto, stupisce però che nessuno abbia fatto caso ai risultati prodotti dagli stessi istituti demoscopici quando agli italiani hanno chiesto semplicemente quali siano a loro giudizio i problemi più urgenti da affrontare. Niente da fare. Erano tutti troppo indaffarati a compulsare e commentare sondaggi fatti sulla base di scenari ipotetici del terzo tipo, delirando di misteriosi “elettorati potenziali” simili a civiltà sepolte sotto un mare di voti ipotetici, cariche di tesori nascosti che gli istituti di sondaggi sventolano quotidianamente sotto il naso di tutti i loro febbricitanti committenti. Un miraggio che la fame induce facilmente in simili cercatori d’oro.
Ma quando si passa dal periodo ipotetico al presente indicativo, le risposte degli italiani appaiono non meno sorprendenti. Dopo due anni in cui la destra e tutti i maggiori quotidiani ci hanno spiegato che il governo Prodi sarebbe stato travolto dall’impopolarità della sua politica fiscale, si scopre che l’abbassamento delle tasse, incredibile dictu, non figura affatto ai primi posti tra le priorità degli italiani, superato da temi di ben altro segno quali l’innalzamento dei salari, la sicurezza sul lavoro, il controllo dei prezzi. Sarà un caso, ma è pur sempre una singolare coincidenza che proprio in questa campagna elettorale Berlusconi abbandoni per la prima volta il mantra del “meno tasse per tutti” e l’intero armamentario liberista, spingendosi sino a difendere l’italianità di Alitalia e affidandosi ancora una volta a Giulio Tremonti, che alla contestazione del “mercatismo” ha dedicato or ora un nuovo libro. E che in tutti i suoi interventi dedica alla globalizzazione, alla crisi finanziaria e alla Wto parole assai lontane dall’irenismo liberista che negli anni Novanta aveva contagiato anche larga parte della sinistra europea, sulla scia dei crescenti successi del clintonismo negli Stati Uniti. Modelli vincenti, naturalmente. Ma vincenti oltre dieci anni fa.
Ben diverso appare oggi lo spirito del tempo, se la crisi finanziaria ha indotto persino Gordon Brown alla nazionalizzazione della Northern Rock. E riesce davvero arduo immaginare il premier laburista mentre dichiara pubblicamente di avere elaborato il suo programma elettorale compulsando le annate del Financial Times, mentre da noi Enrico Morando si vanta di avere steso il programma del Pd facendo copia-e-incolla dagli articoli pubblicati su lavoce.info dal fior fiore del nostro establishment accademico-finanziario. Con punte di autolesionismo comunicativo, peraltro, semplicemente inarrivabili, come ad esempio nel definire “social housing” la buona vecchia edilizia popolare. Quasi che il problema della casa riguardasse i manager formati alla Bocconi o a Harvard.
Nel momento in cui persino gli Stati Uniti sono costretti ad aprire le porte ai fondi sovrani cinesi e russi, mentre in tutta Europa, a partire dalla Germania governata dalla cristiano-democratica Angela Merkel, si fanno i conti con l’intreccio tra globalizzazione finanziaria ed espansione del capitalismo di stato in Asia, con l’emergere in forme sempre più aggressive di nuove potenze sulla scena mondiale – mentre tutto questo accade nel mondo – in Italia è rimasta solo la sinistra riformista a ripetere le formulette invalse negli anni del clintonismo che la stessa Hillary Clinton, oggi, si guarda bene dal riutilizzare.
Dinanzi ai dati della Banca d’Italia che svelano il drammatico spostamento di ricchezza verso l’alto che si è avuto in Italia nell’ultimo decennio, il Pd riscopre proprio ora le virtù della trickle-down economy, secondo cui l’accrescimento della ricchezza in cima alla piramide sociale, alla lunga, non potrà non “sgocciolare” verso il basso. Troppo facile rispondere, parafrasando i classici, che alla lunga saremo tutti morti. Ma certo è che ben difficilmente il Pd potrà uscire dal voto in splendida salute, oltre che in splendida solitudine, se non si preoccuperà di aggiornare alla svelta i suoi riferimenti culturali e politici.