“La necessità non è una situazione oggettiva, implica soltanto un giudizio o una valutazione personale. In fondo, sono straordinarie e urgenti solo le situazioni definite tali”. Misuriamoci con questa molto filosofica considerazione, senza rivelare, per ora, se sia tratta dalla dialettica trascendentale di Kant o dal saggio sul concetto del politico di Carl Schmitt. E domandiamo: davvero, “in fondo”, le cose stanno così? Bisogna essere abbastanza postmoderni, o comunque assai lucidamente disincantati, per pensarlo. Per pensare, poniamo, che se si verifica un terremoto di proporzioni catastrofiche la situazione non è affatto straordinaria e urgente, o almeno non finché qualcuno, ad esempio il governo, non la definisca tale. La definizione non è ovviamente senza effetto, perché grazie ad essa si assumono provvedimenti che altrimenti non sarebbero adottati, ma ciò non implica affatto che la situazione non fosse straordinaria e urgente prima che venisse definita tale, né tanto meno vuol dire che si è trattato solo della “valutazione personale” del governo o del suo capo. Di solito, e fino al completo dissolvimento di ogni idea normativa, vengono addotte ragioni per fondare valutazioni e giustificare provvedimenti, e son le ragioni che devono essere discusse e, se del caso, criticate (nel nostro esempio di comodo, la ragione è che il terremoto c’è stato, e non è stato inventato).
Per scongiurare il timore che la si voglia buttare definitivamente in filosofia, il lettore ha ora il diritto di vedere risolto l’indovinello: la frase citata in apertura non è né di Kant né di Schmitt (benché, a diverso titolo, potesse esserlo), ma di Giuseppe D’Avanzo, che in questo modo commentava sabato scorso, su Repubblica, le mosse del governo. Dapprima il “decreto sicurezza” e l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, poi il “decreto Napoli” e la militarizzazione delle discariche, quindi la limitazione delle intercettazioni e del loro uso da parte degli organi di informazione; da ultimo, l’esercito a presidiare le città. Messe in fila, una dopo l’altra, queste misure non suggeriscono propriamente il profilo di un governo progressista, e d’altra parte la compagine guidata Berlusconi non lo è (né, purtroppo, vuole esserlo). D’Avanzo ritiene però che “l’idea politica, il paradigma di governo, addirittura il fondo sublogico” di tutto ciò stia in uno slittamento del legittimo esercizio del potere verso un arbitrario diritto della forza”, con il rischio che “chiunque dissenta sia considerato un «criminale» perché avversario di una «decisione assoluta» che sola può assicurare la «governabilità» e l’uscita dalla crisi”.
Quando le parole sono così pesanti, le virgolette sono necessarie. Anzitutto per esprimere meglio il disaccordo: se ad esempio a Napoli la legalità costituzionale è messa in serio pericolo nella vicenda rifiuti, non è (non in prima istanza, almeno) per l’arbitrario diritto della forza che il governo si appresterebbe a esercitare, né perché il governo ha definito eccezionale e urgente la situazione (che lo è già di suo), ma molto più probabilmente per tutto ciò che i pubblici poteri non hanno esercitato finora.
Ma poi c’è il “fondo sublogico”, cioè la logica sottesa a questo tipo di interventi. E qui il disaccordo è, per l’appunto, logico (o sublogico). Berlusconi, secondo D’Avanzo, vuole “creare, volontariamente e in modo artefatto, una necessità dopo l’altra”, in modo da avere mano libera per separare lo Stato dal diritto: cioè, più o meno, segnare la fine dello Stato di diritto. Ora, non si può, nel corso dello stesso articolo, sostenere che la necessità non è una situazione oggettiva, ma viene definita tale, e imputare a chi appunto tale la definisce di farlo in modo volontario e artefatto: semplicemente perché non vi è, per ciò che si sostiene, altro modo di farlo che non sia appunto quello “volontario”. Se la necessità, cioè lo stato di emergenza, non è mai oggettivo, non è cioè nelle cose stesse, non vi è altra necessità che quella che viene dichiarata tale. Una simile conclusione suona paradossale, e infatti lo è (dopotutto, calamità e altre necessità continuano a verificarsi). Ma può ben essere evitata. A condizione però che si abbandoni il principio posto sopra, che cioè sono le valutazione personali a fare le necessità, e si consideri caso per caso se davvero le emergenze siano inventate di sana pianta da Berlusconi, lasciando quindi perdere i fondi sublogici (e gli scimmiottamenti di Schmitt). Che a Napoli qualcosa non vada nel ciclo rifiuti non è frutto di mere valutazioni personali; che il circolo saldatosi sul tema intercettazioni tra giustizia e informazione non sia virtuoso, anche questo non è arbitraria opinione di un singolo. Che viceversa sugli immigrati l’allarme sociale sia sproporzionato rispetto alle sue dimensioni effettive, e che non è chiaro cosa possano e debbano fare 2500 soldati nelle città italiane, questo va altrettanto sostenuto. È che, tolta di mezzo la sublogica, viene più facile criticare la linea del governo, nel merito.