“La Binetti è la nostra Palin”, ha dichiarato Rocco Buttiglione alcuni giorni fa, in seguito all’ultima polemica suscitata dalle dichiarazioni della deputata del Pd Paola Binetti a proposito di gay e pedofilia. Ma è probabile che il filosofo dell’Udc, nel rilasciare la sua battuta alle agenzie, non si sia nemmeno reso conto della straordinaria trovata che lo spirito del tempo gli aveva appena suggerito. Ben più che dall’abusato confronto tra il giovane presidente americano Barack Obama e il nostro Silvio Berlusconi, infatti, la differenza tra gli Stati Uniti e l’Italia di oggi emerge drammaticamente proprio dal confronto a tutt’altro scopo istituito dall’onorevole Buttiglione.
Volendo trarne nuovi motivi per indulgere nell’autocommiserazione, se ne potrebbe ricavare che ormai, in Italia, pur partendo per varie ragioni storiche, antropologiche e politiche con un indiscutibile vantaggio competitivo sulla concorrenza straniera, non siamo più all’avanguardia nemmeno nel campo dei retrogradi. Ma la vittoria di Obama è un così splendido simbolo di speranza e un così luminoso esempio di fiducia in se stessi che sarebbe davvero un curioso modo di celebrarla ridurre tutto a un impotente piagnisteo. Anche perché una delle ragioni per cui la corsa di Obama ha suscitato tante passioni in ogni parte del mondo sta proprio negli ostacoli che ha dovuto superare. Si fosse messo a piagnucolare contro lo strapotere della macchina clintoniana, i signori dell’apparato democratico e la gerontocrazia opprimente che voleva costringere il paese a scegliere tra Hillary Clinton e John McCain, difficilmente il sostegno dei blogger e di qualche giornalista amico sarebbe bastato a fargli vincere le primarie.
L’inconsapevole genialità della dichiarazione di Buttiglione, però, sta tutta nel suo carattere apparentemente paradossale, che emerge chiaramente dal suo rovescio: “Sarah Palin è la nostra Paola Binetti”. Un’intuizione che illumina al tempo stesso la candidata repubblicana e noi. Perché Sarah Palin, in fondo, è una nostra invenzione. La figura della “candidata coi valori”, giovane, bella e terribile, o almeno il suo prototipo più riuscito, è infatti un purissimo frutto dell’inventiva italiana, e si chiama Irene Pivetti.
Eletta con la Lega Nord e divenuta nel 1994, a trentun anni, la più giovane presidente della Camera nella storia della Repubblica, sempre infagottata in tailleur e foulard che non lasciavano scoperto un solo centimetro di pelle al di sotto della volitiva mandibola, acclamata dai meeting di Comunione e liberazione per le sue ferventi dichiarazioni di fede cattolica ultratradizionalista, come christian performer la Pivetti dimostrò subito un talento che le sue minori epigone di oltreatlantico e di oltretevere non avrebbero mai saputo nemmeno avvicinare: appena arrivata a Montecitorio fece togliere dalle pareti della Camera dipinti di nudo di qualche decennio o qualche secolo prima, comunque troppo audaci per la sua sensibilità, quindi se ne andò a passare le sue prime presidenziali vacanze nella ridente Vandea, pregando sulle tombe di tanti innocenti contadini ingiustamente perseguitati, e ancora nel ’98 reclamava l’intervento del presidente del Consiglio Romano Prodi perché ponesse fine al supremo scandalo del nostro tempo, impedendo alle edicole attorno al Vaticano di vendere riviste pornografiche.
Prima di farsi fotografare in pose da calendario e di passare la luna di miele in tv, scoprendo così il fascino del reality show, per poi lanciarne e affondarne in breve tempo uno persino sulla chirurgia estetica, è stata Irene Pivetti a tracciare la strada su cui anni dopo si sarebbe incamminata, con analogo piglio e ben più scarsi risultati, l’ingenua governatrice dell’Alaska, attualmente impegnata nel rilasciare dichiarazioni come “Se ho fatto perdere anche un solo voto a McCain mi dispiace molto” e “Ho sempre saputo benissimo che l’Africa non è uno stato ma un continente”. Del tutto privi di cultura storica e ancor meno dotati di senso dello spettacolo, per non parlare di quello dell’umorismo, i suoi più irriducibili sostenitori si ostinano a prevedere per lei un radioso futuro da sfidante di Obama alle prossime presidenziali. Noi, però, conoscendo la storia e soprattutto la dura legge dello spettacolo, sappiamo bene che per lei si tornerà presto a parlare di nomination, ma non per la Casa Bianca.