Quando un’epoca si chiude e la nuova ancora non s’intravede, di solito, è il momento di preoccuparsi. Per quasi un anno ce ne siamo rimasti tranquilli, senza scrivere niente. Ma anche solo scorrendo nel nostro archivio l’elenco delle puntate precedenti, e confrontandolo con l’elenco delle principali notizie di questi giorni, si capisce perché tranquilli, ora, non possiamo più restare.
Piccoli e grandi segni della fine di un’epoca: i grandi giornali e persino la Banca d’Italia che se la prendono con le agenzie di rating; i governi europei sotto accusa per il loro mancato, tardivo o insufficiente intervento nella crisi greca; il sistema uninominale britannico che produce un governo di minoranza, o magari di coalizione (un pensiero commosso al “modello Westminster”, che ci ha tanto allietato le vacanze); Gianfranco Fini che si batte per il diritto al dissenso e per la legittimità di una minoranza organizzata (per gli amici, corrente) persino dentro il Pdl; Umberto Bossi che rivendica un maggiore peso della Lega nelle banche (suscitando nei protagonisti della campagna di stampa contro l’Unipol, nel 2005-2006, appena un paio di “ohibò”); l’uomo che consegnò l’intercettazione illegale della conversazione tra Piero Fassino e Giovanni Consorte a Silvio Berlusconi che conferma per filo e per segno l’accaduto (senza suscitare nei suddetti protagonisti nemmeno un “apperò”); buona parte del sistema bancario e finanziario americano, oggi sotto accusa persino negli Stati Uniti, che dopo aver fatto una fortuna sulla propria ascesa sta riuscendo ora a farla pure sul proprio fallimento, utilizzando i fondi pubblici – elargiti dai governi per ripianarne i debiti – per speculare contro i governi stessi (perché, adesso, troppo indebitati – e si capisce). Da tutto questo la sinistra può trarre la conferma di una legge antichissima: i problemi non risolti, o peggio ancora non affrontati, tornano per vendicarsi.
Ma niente paura, stiamo tornando anche noi.