La risposta di Pier Luigi Bersani all’appello di scienziati e intellettuali per la reintroduzione del nucleare in Italia – o meglio: perché il Partito democratico non si chiuda in un’opposizione pregiudiziale, antiscientifica ed elitaria – può essere letta in due modi: come il solito tentativo di tenersi lontani dai guai scontentando tutti il meno possibile (e così finendo sempre per scontentare tutti, sia pure meno di quanto possibile), o come una prima, ancora timida, ma comunque incoraggiante apertura. Del primo modo non ci occuperemo, quindi passiamo direttamente al secondo, decisi a interpretare le parole del segretario democratico (“Il nostro non è un no ideologico ma di merito rispetto al piano del governo”) come un primo passo nella giusta direzione, cui dovrebbero seguirne però alcuni altri, non solo da parte del Pd. Ed è di questo che vogliamo parlare: del rapporto tra intellettuali e sinistra in Italia. Tema vecchissimo, che l’appello sul nucleare consente però di impostare (finalmente!) in altri termini, più sinceri e più utili.
L’appello è firmato da autorevoli scienziati e da alcuni dei nomi più noti della cultura progressista, da Umberto Veronesi a Margherita Hack. Intellettuali che hanno spesso animato il dibattito nella sinistra, con articoli, interviste e appelli che di solito ricevono però dai mezzi di informazione una copertura assai più generosa, ad esempio quando si occupano dell’ultima malefatta del capo del governo, e anche di più quando il bersaglio è il leader dell’opposizione. In questo caso, invece, con la meritoria eccezione del Riformista, che lo ha pubblicato in prima pagina, tutto quello che l’appello a Bersani ha raccolto è stato un asciutto riassunto a pagina 25 del Corriere della sera, e qualche riga sui giornali di oggi. E anche su questa differenza di trattamento i firmatari dovrebbero riflettere. Tanto più nel momento in cui esortano il segretario del Partito democratico a “evitare il rischio che nel Pd prenda piede uno spirito antiscientifico, un atteggiamento elitario e snobistico”. E ancora a maggior ragione nel momento in cui mostrano di apprezzare lo sforzo di Bersani “per dare al Pd concretezza e radicamento, ponendo al centro della sua iniziativa i temi del lavoro e della insufficiente struttura produttiva italiana”. Per dirla con un gioco di parole sicuramente abusato, ma mai opportuno come in questa occasione, forse i firmatari dell’appello, prima di domandarsi cosa possa fare il Pd per raggiungere un simile obiettivo, dovrebbero domandarsi cosa possano fare loro per aiutare concretamente il Pd a raggiungerlo. E forse dovrebbero domandarsi anche se in questi anni, rispetto al problema culturale più generale di cui la questione nucleare è solo un aspetto, come giustamente si riconosce nell’appello, gli stessi firmatari non abbiano costituito un fattore di freno, o peggio. Se cioè non abbiano essi stessi contribuito, con atti e con omissioni, al montare di quel radicalismo irrazionalistico che ora denunciano, e che tanto male ha fatto al paese, alla sinistra e al Pd.
Una rinnovata alleanza tra politica e cultura è certamente auspicabile, anche e forse innanzi tutto su questioni difficili come nucleare e ogm, dove decenni di demagogia non potevano non dare i frutti che oggi abbiamo sotto gli occhi, e che continuano a crescerci davanti ogni giorno. Ma l’appello degli intellettuali al Partito democratico non può suonare “armiamoci e partite”. E forse è proprio questo che dovrebbe rispondere il Pd: “Cari intellettuali, o si parte tutti insieme, o non si va da nessuna parte”.
Noi ci auguriamo che alla fine si decidano, e per questo riterremmo assai appropriato che il Pd decidesse di promuovere con loro un incontro solenne, su queste basi. Dunque radicalmente diverso – per non dire proprio l’opposto – rispetto alle tradizionali e francamente stucchevoli adunate di scrittori, attori e registi cui la sinistra ci ha purtroppo abituati. Adunate dalle quali è venuto spesso un potente incoraggiamento a perseverare in un radicalismo parolaio del tutto funzionale alla conservazione degli equilibri esistenti, demagogico e inconcludente, impaurito e stanco. Iniziative da cui è uscita sempre confermata una visione ristretta dell’Italia e della cultura, che spiega forse perché mai, come nota l’appello, “ampi settori di intellettualità tecnica e scientifica, che un tempo guardavano al centrosinistra come alla parte più aperta e moderna dell’Italia, non ci capiscono più e guardano altrove”. Noi pensiamo sia venuto il tempo di rivolgersi nuovamente a loro, ma anche di chiedere loro qualcosa in cambio, non per il Pd o per la sinistra, ma per l’Italia.