Il bellissimo sito internet messo su da colleghi e amici di Silvio Scaglia riporta diverse, autorevoli dichiarazioni di solidarietà e di scandalo. Da parte di intellettuali, manager, politici. Parole, almeno nell’ultimo caso, che dovrebbero essere impegnative, ma che finora non hanno prodotto esiti apprezzabili. Mentre scriviamo, come leggiamo dall’angosciante contatore del sito, Silvio Scaglia è in carcere da 79 giorni, 11 ore, 10 minuti e 39 secondi. Senza processo, s’intende. Dopo essere rientrato in Italia dal Brasile per consegnarsi spontaneamente ai magistrati e rendere la sua versione dei fatti. Fatti, peraltro, che risalgono a quattro anni fa. Quale pericolo di fuga, quale inquinamento delle prove, quale reiterazione del reato è dunque immaginabile, per giustificare un solo giorno, una sola ora, un solo minuto, un solo secondo di detenzione? Per quale ragione l’ex manager di Fastweb si trova ancora in carcere?
Il merito delle accuse – il caso Telecom Sparkle – riguarda una complicata truffa finanziaria che ha occupato i quotidiani per giorni, solo pochi mesi fa, ma che appare già perduta nella preistoria dello scandalismo politico-giornalistico italiano, già morta e sepolta agli occhi di un’opinione pubblica drogata da dosi costanti e massicce di sempre nuovi dossier, intercettazioni, ipotesi e ricostruzioni più e meno incredibili. Ci sarebbe molto da discutere anche del merito, naturalmente. A cominciare dal modo sempre più disinvolto in cui i pubblici ministeri usano ormai condire di “associazione a delinquere” qualunque ipotesi di reato, così da ottenere poteri di indagine eccezionali, eccezionalmente invasivi e discrezionali. Un malcostume che si riflette immediatamente nel racconto pubblico, trasformando le pagine di cronaca giudiziaria, economica e politica in un incomprensibile impasto di macchinazioni criminali e pettegolezzi triviali, a metà tra il romanzo di Le Carré e la più macabra delle commedie all’italiana. Resta il fatto che in questo stesso momento, mentre ci intratteniamo in simili considerazioni, Silvio Scaglia è in carcere senza processo da 79 giorni, 11 ore, 19 minuti e 52 secondi. Il merito delle accuse dunque non ha importanza, fino a quando un regolare processo non le avrà vagliate. Fino a quel momento, Scaglia è innocente, come ognuno di noi. Eppure è in galera.
Stefano Cucchi, Stefano Gugliotta, Silvio Scaglia. La giustizia italiana sta mostrando in questi mesi il suo volto più nero. Ma la violenza della carcerazione preventiva usata allo scopo di estorcere confessioni è forse persino peggiore di quella delle forze dell’ordine, almeno per i suoi effetti sistemici, e fa tutt’uno con l’utilizzo delle motivazioni dei diversi provvedimenti per bollare con un marchio d’infamia chi dovrebbe essere considerato innocente fino a prova contraria. Un incestuoso intreccio di magistratura d’assalto e giornalismo pulp, in cui i magistrati sembrano quasi dettare i titoli ai giornali. Una deriva che alimenta il circuito dell’informazione e al tempo stesso ne è alimentata, in un fiorire di metafore e velleità letterarie che fanno strame della presunzione d’innocenza e dei diritti di chi non può difendersi (“la cricca”, “le relazioni gelatinose” e via poetando).
E’ un sistema che abbiamo già visto in azione nel 1992. Allora la sinistra pensò di poter cavalcare l’onda, e ne fu invece sommersa. L’assalto allo stato di diritto, all’autonomia della politica e alle garanzie democratiche produsse, com’era logico e inevitabile, la svolta a destra. Una svolta a destra quale mai il paese aveva conosciuto prima e che allora non appariva nemmeno immaginabile, con la discesa in campo di Silvio Berlusconi e l’ingresso al governo di leghisti e missini. Dove potremmo arrivare adesso, se la storia si ripetesse, non osiamo nemmeno pensare. E’ tempo che il Parlamento, a cominciare dal principale partito di opposizione, il Partito democratico, si riappropri del suo ruolo, e parli. Innanzi tutto per chi, come Scaglia, parlare non può. Restare in silenzio un solo minuto di più significherebbe essere complici. E presto o tardi, se la storia ci insegna qualcosa, vittime.