Aspettando il Pd

A volte qualcuno ci domanda: ma perché vi occupate tanto del Partito democratico? Consapevoli di quanto la risposta possa apparire persino provocatoria, replichiamo che ce ne occupiamo tanto, anche criticamente, perché pensiamo sia l’unica cosa seria di cui occuparsi. Dalle sorti del Pd, infatti, non dipendono soltanto le sorti del centrosinistra e dell’opposizione. Come unico partito degno di questo nome ancora in circolazione, tra tanti partiti monopersonali e monouso, dal suo destino dipende anche, in qualche misura, la qualità della democrazia italiana, specialmente dopo l’abbandono della strategia suicida del modello americano. Una strategia a suo tempo avallata o comunque assai debolmente contrastata da tutti i principali dirigenti del Pd, che ha segnato la fine del governo Prodi e della stessa coalizione di centrosinistra. E’ indiscutibile che ancora oggi il Pd paghi le conseguenze di quelle scelte. Ed è altrettanto indiscutibile che la svolta che a questo stato di cose avrebbe dovuto imprimere Pier Luigi Bersani non si sia ancora vista.
A noi pare che Bersani abbia compiuto soprattutto due errori. Il primo è stato lasciarsi trascinare sulla strada della mozione di sfiducia contro il governo, quando i guai della maggioranza erano appena cominciati e l’opposizione avrebbe avuto tutto l’interesse a lasciarli crescere e moltiplicare (per il suo bene e anche per il bene del paese, visto che nel frattempo poteva far passare praticamente qualsiasi emendamento presentasse), invece di affrettarsi a “mettere nell’angolo” Gianfranco Fini, come chiedevano, all’unisono, Antonio Di Pietro e Gaetano Quagliariello.
Il secondo errore, simmetrico al primo, riguarda invece la vicenda Fiat. Se infatti sulla mozione di sfiducia il Pd si è lasciato trascinare senza motivo sulla strada di una battaglia inconcludente e perfino dannosa, sulla Fiat Bersani ha cercato fino all’ultimo di non schierarsi in alcun modo, incurante del fatto che nel frattempo vari esponenti del suo partito si univano al coro in favore di Sergio Marchionne, in nome della modernità e dell’innovazione.
Nemmeno la stralunata campagna del Corriere della sera, che metteva insieme la riforma Gelmini e gli accordi di Mirafiori come esempi di innovazioni ostacolate dal conservatorismo della sinistra e dei sindacati, è bastata a far ricredere i volenterosi innovatori del Pd. Nella nostra sconfinata ingenuità, pensavamo che dopo una simile campagna non ci sarebbero stati altri equivoci su cosa intendessero certi professori per “innovazione” (della “meritocrazia” parliamo un’altra volta). Ebbene, ci sbagliavamo. In nome dell’innovazione, del cambiamento e della modernità, prima Walter Veltroni sulla Stampa e poi Matteo Renzi al Tg della 7 si sono infatti schierati con Marchionne “senza se e senza ma”, per usare le parole del sindaco di Firenze (non parliamo di Sergio Chiamparino, che lo ha fatto un po’ ovunque, sia prima che poi). Si tratta peraltro degli stessi dirigenti che da tempo polemizzano con Bersani, sostenendo che l’identità del Pd sia stata colpita a morte dalle discussioni sulle primarie. Il fatto ci sembra degno di nota. Ma va da sé che ognuno si sceglie i fronti simbolici e identitari che preferisce: chi la difesa dei lavoratori, chi la difesa delle primarie.
Noi ci auguriamo che Bersani tenga duro sulla costruzione di una grande alleanza democratica, e nel rimettere in discussione, di conseguenza, anche il dogma delle primarie. E pensiamo che abbia fatto benissimo, ieri sera, a dire finalmente una parola chiara su Marchionne. Del resto, nel merito, le parole pronunciate ieri dall’amministratore delegato della Fiat, che dinanzi a un’eventuale vittoria dei no si diceva pronto a tornarsene a “festeggiare a Detroit”, somigliavano molto a una voce dal sen fuggita. Sul piano politico, invece, ci pare che le incredibili parole pronunciate oggi da Silvio Berlusconi (se al referendum di Mirafiori vincesse il no, “le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri paesi”) diano un contributo fondamentale e definitivo alla chiarezza del dibattito. Ci auguriamo che la direzione del Partito democratico prevista per domani ne tragga le debite conseguenze.