L’Assemblea nazionale è sospesa. Si farà un’altra volta (o forse in un altro luogo, chissà). È sospeso l’organo che ha competenza in materia di indirizzo della politica nazionale del partito: capo II, articolo 4 dello statuto del Partito democratico. Il Partito democratico è senza indirizzi di politica nazionale (oppure si tiene quelli che c’erano, chissà). Non si è fatto in tempo a scrivere che il risultato delle primarie di domenica arrideva al Pd e al suo segretario, che questi ha pensato bene di dire che no, c’era poco da ridere, anzi, c’era da piangere. C’era da prendere atto che il Partito democratico napoletano mette un parlamentare europeo, un assessore uscente e il responsabile nazionale Mezzogiorno, non tre Carneadi qualsiasi, in una competizione elettorale di cui non è in grado di garantire l’esito, e che il tasso di conflittualità ha raggiunto livelli tali da rendere impossibile il regolare svolgimento dell’Assemblea. La celebre frase “Vedi Napoli e poi muori” va aggiornata: l’assemblea democratica non ha fatto neanche in tempo a vederla.
Ora è difficile immaginare come se ne possa venire decorosamente fuori. Rifare le primarie? E se quegli impenitenti dei napoletani imbrogliano di nuovo? Se poi l’inquinamento è dei voti di destra, perché questi voti non dovrebbero riversarsi un’altra volta, non importa su chi, al solo scopo di coprire di ridicolo il Pd? Prendere allora un nome super partes e farla finita con le primarie? A parte la difficoltà di trovarlo, ma cosa può significare, precisamente, super partes, rispetto a una cosa che, dopo tutto, si chiama partito? È come se, in una gara, si accantonassero i concorrenti e si puntasse direttamente sul notaio (o sul giudice, come pare si voglia fare).
Gli antichi greci, quando l’aria si faceva irrespirabile, prendevano il mare e fondavano da qualche altra parte una città: così, in fondo, è nata Napoli. È un’opzione, però, non più disponibile. Anche se non è sicuro che nel Pd siano tutti consapevoli che le elezioni bisogna vincerle qui, in Italia, proponendosi come un’alternativa democratica reale al centrodestra, e non come un partito in difficoltà con i propri principi di democrazia interna. S’era detto: solo il Pd è un partito, fa addirittura le primarie. Solo il Pd discute, solo il Pd vota ed elegge. Ora però si sta facendo di tutto per dimostrare che è un lusso che il Pd non può più concedersi.
Ma i lussi, si sa, sono un supplemento: qualcosa che si aggiunge all’essenziale. Il fatto è invece che le primarie si iscrivono in un’altra logica, che è quella non del supplemento, ma della supplenza. Suppliscono a quello che il partito non riesce più a fare. Così, se non riesce a scegliere un candidato, ci si illude che possano riuscirci le primarie. Ed è un pezzo che il centrosinistra va avanti con le supplenze: non hai un leader in casa? Lo peschi da qualche altra parte. Non ce la fai più a tenere aperte le sezioni? Ti inventi il partito liquido, senza tessere e coi gazebo. Non hai più il tempo per elaborare un progetto politico e mettere insieme una coalizione di interessi? C’è il discrimine morale che ti viene incontro e sul quale puoi dunque attestarti. Qualcosa non va nel tuo radicamento tradizionale? Rinunci al radicamento e a tutto l’albero, e cerchi qualche guru che benedica l’operazione. E se non ce la fai a dettare i temi del confronto politico, puoi pur sempre aprire Repubblica.
Diciamo la verità: non è questo, non vuole essere questo il partito di Pier Luigi Bersani. Bersani è stato anzi eletto per risalire questa china. E sarebbe ingeneroso sostenere che siamo ancora al punto di partenza, o che la vicenda di Napoli coincida con il punto di arrivo. Ma non si scappa, se si annulla il risultato delle primarie, si deve ammettere che si è commesso un grave errore politico nel convocarle, e che non si è avuto il coraggio di andare fino in fondo: chiudere a chiave i dirigenti locali nella sede del partito e non farli uscire di lì senza tirar fuori un nome. Se ora si annulla tutto, che altro si potrà fare se non cercare un altro supplente? Sarà allora un esponente della società civile da urlo, un premio Nobel o qualcosa del genere, e la società politica avrà certificato ancora una volta di non essere stata all’altezza dei propri compiti.